Sul finir della novena, mentre al di fuori il paesaggio s’addormentava sotto il roseo vespero, del cerchio dei luminosi orizzonti, il popolo raccolto nella chiesa cantava i gosos, le laudi del Santo, in antico spagnuolo; e quella nenia cadenzata, d’una melodia melanconica, in quell’ora di rosse ombre, perdute nell’immensa solitudine campestre, aveva più che mai tutta la nostalgia dei canti sardi, d’un popolo antico, ancora semi barbaro, che pare siasi svegliato dopo lunghi secoli di sonno, nell’epoca presente.

23

Di notte sorgevano alti fuochi: vi crepitava il lentischio, vi odorava il ginepro. I priori cantavano boriose gare estemporanee: gli occhi delle donne languivano di sogni.

E zio Juanne Battista?

Zio Juanne Battista si vedeva raramente. Assisteva alla messa, poi, presso la porta, riceveva l’obolo dei pellegrini: a mezzodì andava dalla prioressa con una scodella che gli si riempiva di minestra o di farro fumante; poi spariva.

Qualche volta lo si udiva gridare coi mendicanti che sporcavano la chiesa.

- Levati di lì, pezzente.

- Non mi levo.

- Se non ti levi ti faccio levar io a bastonate.

- Il diavolo ti bastoni.

- Rognoso.

- Cocuzzolo spelato.

- Immondezza!

- Cosa avete, zio Juanne - gli chiedeva il priore. - Quest’anno siete più di malumore dell’anno scorso.

- Si avvicina la morte.

- Ebbene, lasciatela venire. La piglieremo a schiaffi.

- Ah, con essa non si scherza!

Intanto venne il giorno della festa. Sin dalla vigilia arrivò molta gente: da ogni paese arrivavano gruppi d’uomini e donne, e ciascun gruppo portava uno stendardo spiegato.

Appena smontavano di sella entravano in chiesa, e appena usciti di chiesa si mettevano a ballare il ballo sardo. E quelli d’un paese si beffavano e ridevano di quelli degli altri paesi. Non arrivava persona della quale questo o quell’altro non trovasse qualche cosa di ridicolo.

E tutti ridevano.

Mercanti girovaghi, liquoristi e venditori di sproni e briglie, s’accamparono in certe piccole loggie del primo cortile. La folla, quindi, era spessa laggiù, mentre il secondo cortile restava quasi deserto.

Il più indemoniato era un gruppo di paesani bruni, coloriti, ubbriachi, che ballavano cantando, al ritmo di strane poesie.

Assa festa ‘e Gasta so andadu,

La chi enit in primu eranu:

Inie b’er Baròre - b’er Baròre,

Inie b’er Baròre e Bastianu,

In paghe e cuncordia buffende:

E da chi la idèi - la idèi,

E da chi la idèi fugudende,

Rughei unu mortu, unu latadu.

Assa festa ‘e Gasta so andadu.

Alla festa di Gasta sono andato,

Quella che viene in primavera:

Là c’è Salvatore, - c’è Salvatore,

Là c’è Salvatore e Sebastiano,

In pace e concordia bevendo.

E da che la vidi - la vidi,

E da che la vidi immantinenti

Caddi uno morto, uno ferito (?).