Alla festa di Gasta sono andato.
Insistevano specialmente sui versi:
Inie b’er Baròre - b’er Baròre
e
E da chi la idèi - la idèi
ripetendoli cento volte, con cadenza, facendone il ritmo della danza.
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Però, cambiavano versi allorché scorgevano giungere persone di altri paesi.
Arrivò, per esempio, un sacerdote a cavallo, in fracchina, con pantaloni corti: teneva un grosso ombrello sul davanti della sella, e pareva una figura da lanterna magica.
Qualcuno disse: è Nuorese.
E subito, quelli del ballo, intonarono questa quartina: In Santu Predu han pesadu unu ballu,
A sonos de ghitarra e fiolinu;
Sos prideros non jughen collarinu,
Ca lis ha fattu in trughu unu callu.
In Santu Predu han pesadu unu ballu.
In San Pietro (vicinato di Nuoro) han formato un ballo, Al suono di chitarra e violino;
I preti non portan collarino,
Perché ha lor fatto sul collo un callo.
In San Pietro han formato un ballo.
E la folla rideva. Grida selvaggie squillavano, nitrivano, salivano tra il mormorar delle cantilene ballabili.
I mendicanti si piantarono, uno a certa distanza dall’altro, ai lati del sentiero, a mano tesa, ripetendo una incessante litania di lamenti.
Sul tardi, la sera della vigilia, zio Juanne Battista si trovava per caso vicino ad uno di questi mendicanti, quando vide arrivare una donna e un giovane, seguiti da un paesano che aveva l’aria d’un servo.
La donna doveva esser una dama dei villaggi; era grossa, con guancie cascanti; vestiva con ricercatezza, un corsetto nero, chiuso, guarnito di lustrini, una larga gonnella di stoffa gialla; aveva in testa un fazzolettone di damasco violaceo, e, sebbene non più giovine, era adorna di collane di corallo. Montava a cavalcioni una mansueta giumenta nera picchiettata di bianco.
Il giovine doveva essere molto alto perché stava assai curvo sulla sella; aveva un volto di bambino pallido, e dal cappello tirato indietro gli usciva un gran ciuffo di capelli castanei.
Appena i mendicanti videro arrivare questi signori, cominciarono a lamentarsi più forte: la voce dell’uno voleva sopraffare quella degli altri, e tutti stridevano come tante cicale.
- Giame, - disse la donna con voce lamentosa, - arrangiati tu con questi poveri pezzenti.
Il giovine mise a lento passo il suo cavallo e dal taschino del panciotto cominciò ad estrarre con due dita, piccole monete di rame e di argento.
- A voi. Prendete.
- A voi.
- A voi pure. Ecco.
Era d’una gentilezza, d’una bontà estrema, con quei poveri che non smettevano di chiedere, e di benedire dopo aver ricevuto.
Fermava il cavallo, si curvava, metteva la moneta sulla palma aperta e sudicia dei pezzenti.
La donna andava avanti al lento passo della giumenta: il servo seguiva, guardando intensamente ogni moto del giovine.
Giunto presso zio Juanne Battista, Giame gittò una moneta nella bisaccia aperta del mendicante, che era o fingeva esser cieco: poi trasse un’altra moneta e la porse al vecchio custode.
Questo, che guardava con tanto d’occhi i nuovi venuti, respinse fieramente l’elemosina.
- Io non sono un mendicante.
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