- Scusate, allora - disse tutto umile il giovine.
Zio Juanne Battista s’intenerì, trattenne il gentile signore, e disse:
- Io sono il custode della chiesa, e conosco quella giumenta lì - appuntava il dito verso la bestia. - Quella era mia.
- Oh! Vostra?
- Sì, mia, in fede cristiana! - esclamò il vecchio, mettendosi una mano sul petto.
25
Intanto, mentre il cieco cercava la moneta entro la bisaccia, e benediva con voce cadenzata chi gliela aveva data, sopraggiunse il servo.
- Salute, zio Juanne Battista - gridò, fermando il cavallo.
Il vecchio guardò quel testone selvaggio, dai capelli grigi, lunghi e arruffati, e riconobbe tosto il servo.
Rispose al saluto, poi si rivolse ancora al giovine.
- Vostra signoria forse è figlio del signore al quale ho venduto la giumenta quattro anni fa? Ora la bestia è più mansueta, si capisce, ma la ho riconosciuta subito: poi riconosco anche questo uomo. Il padre di vossignoria era un uomo grasso, con gli occhi di gatto.
- Giusto! - disse Giame, ridendo.
- Oh, anche vossignoria ha gli occhi verdognoli! Si vede che è suo figlio! -
gridò il vecchietto, fissando Giame. - Basta, se hanno bisogno di qualche cosa, quella là è sua madre, non è vero? comandino.
- Bisogna accomodarci per la notte - disse Ghisparru.
- Bene, bene, venite, vengano, accomodiamo tutto.
Il vecchio si mosse, camminò a fianco del cavallo di Giame.
Arrivati davanti al portone, ove donna Lillica aspettava, il giovine volse di fianco il cavallo, s’abbassò il cappello sulla fronte, e guardò il paesaggio.
Il sole era scomparso, ma tutta la pianura intorno, tutta la folta vegetazione, d’un verde dorato, i papaveri ardenti, la linea argentea delle messi, le praterie coperte di fiori violetti, e infine ogni macchia, ogni stelo, ancora caldi di sole, sorgevano immobili, lucenti, come compresi tutt’ora nell’arcana contemplazione del tramonto.
Il cielo svaniva via limpido, di un azzurro perlato, senza sfumature neppure all’occidente ove il sole era scomparso come una perla.
Giame provò un impeto di gioia davanti a tanta bellezza. E neppure la voce e la presenza dei mendicanti accampati lungo il sentiero, neppure l’urlìo e le barbare cantilene della folla, che profanavano la solennità dell’ora e del paesaggio, turbarono la luce del suo cuore.
Sorrise, coi begli occhi splendenti; avrebbe voluto inchinarsi, salutare la bella sera, il bel paesaggio; gittare all’aria un grido di gioia.
Attraversarono il primo cortile.
I paesani ballavano ancora, tenendo per mano le donne, che sorridevano stanche.
E da chi la idèi - la idèi,
E da chi la idèi - la idèi,
E da chi la idèi - la idèi…
Un gruppo abbastanza numeroso si raccoglieva intorno ad un individuo vestito di fustagno, con un fazzoletto di seta azzurra intorno al collo. Costui raccontava qualche cosa, e tutti ridevano e interrompevano il racconto con osservazioni salate.
Vedendo passar Giame e sua madre, un paesano gridò:
- Bibat sa dama! (Viva la dama!).
- E su cavaglieri! (E il cavaliere) - risposero alcuni altri.
Quelli del gruppo si volsero ridendo: l’individuo dal fazzoletto azzurro s’alzò, guardò, poi si risiedette e riprese il racconto.
I danzatori intonarono, in onore di dama Lillica: Ca er bessida missignora,
S’alligret d’ogni muntagna:
Paret s’istella aurora, ecc.
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