Bellia si volse, la seguì con lo sguardo, rise ancora.

- Preghi bene, monsignora, preghi per tutti, per gli uomini e per le bestie, per le volpi e per le lucertole, per gli avoltoi e per le colombe…

- E per gli asini! Va, va, va e coricati! - gli ripeté Ghisparru, minaccioso.

- Sì, vado e mi corico, perché sono ubbriaco. Ma non è tutto vino quello che ho in corpo; c’è altra cosa, c’è fiele, c’è assenzio, c’è tosco, ci son coltelli.

Vado, vado, ma non si arrabbi, lei, piccolo dottore; ma dopo, quando sarò sano, parleremo. E anche con quello lì!

L’ubbriaco si volgeva sempre verso il custode, fissandolo coi suoi piccoli occhi cisposi, ardenti.

Anche zio Juanne lo guardava; e gli pareva averlo veduto altra volta, e un ricordo indistinto, quasi affannoso, gli sfiorava la mente, senza lasciarsi afferrare.

E anch’egli diceva:

- Vattene, vattene e coricati.

Intanto, assieme a Ghisparru ed a Giame, s’affaccendava ad accomodare i cavalli in una loggia vuota, legando al collo delle bestie e introducendo il loro muso entro sacchette colme di paglia. Bellia seguiva barcollando, lasciando intorno a sé un orribile odore di liquori.

- Voi non mi riconoscete - disse al vecchio. - Ebbene, ve lo dirò io chi sono.

Sono Bellia Fava, quel servo di Antonio Dalvy, quello che ha comprato quella giumenta che vi ha regalato quel signore pazzo di terraferma.

27

Il vecchio spalancò gli occhi, fece un moto strano; ma tosto si ricompose e disse:

- Pazzo sei tu, occhio di vipera, non quel signore: va, va; va e coricati.

- Va, va - ripeteva anche Giame, chinandosi e sbattendosi l’orlo dei pantaloni.

A forza di sentirselo dire, l’ubbriaco parve suggestionato dall’idea d’andarsi a coricare.

- Sì, sì, vado e mi corico sotto una macchia; sì, andrò, e vomiterò il vino e l’acqua ardente che ho in corpo, ma devo vomitare anche altre cose. Bene, riparleremo: vi cercherò stanotte.

E se ne andò.

- Va al diavolo! - disse Ghisparru.

- Silenzio. Non provocarlo - mormorò Giame. Poi si volse al custode, e gli disse: - Bene, su due piedi, raccontatemi in breve la storia della donna indemoniata che fondò questa chiesa.

Tutto contento zio Juanne ripeté la storia di donna Rofoela Perella.

Giame ascoltava intento, con le spalle appoggiate al muro; ed anche il servo ascoltava, ma con aria inquieta ed irritata.

Udita la leggenda, entrarono in chiesa. Il servo mise la berretta piegata su un gradino e sopra poggiò le ginocchia.

Il suo volto selvaggio sollevossi verso il piccolo Santo vestito di pelli, e le sue labbra si mossero ad una fervida preghiera.

Nel mezzo della chiesa, sopra un pezzo di stoffa gialla, posava la nicchia di legno e vetro che usavasi portare in giro per chieder l’obolo nei villaggi. Due ceri ardenti traevano scintille dal vetro, dietro il quale la statuetta tendeva le piccole braccia.