Lo ricordo bene quando è nato! Mia moglie gli ha dato il latte; poi siamo sempre vissuti in casa loro. Quando ha preso la laurea, l’anno scorso, tutto il paese ha fatto festa. Perché scrive sul giornale. Eppoi è così buono! È
innocente come una lucertola. Gli portarono grano, vino, miele, e aranci e lana greggia. Pareva uno sposalizio. Non fa male ad una mosca; egli sta sempre studiando, ed ha una buona parola per tutti. Nell’ovile si fa raccontare le storielle dai pastori, e poi le scrive.
- Ah, - osservò il custode, - e perciò che ha voluto sentire la storia di dama Rofoela Perella?
- Sentite, zio Juanne. Nel mese di marzo è stato ammalato: quasi se ne moriva.
Allora ho fatto questo voto: Santu Juanne Battista, fatelo guarire, ed io prometto che lo farò venire alla vostra festa. Poi è guarito. Io glielo dissi.
Prima egli credeva molto in Dio, ma ora poco. Perciò si è messo a ridere. Dice:
«Dov’è questa chiesa?». Io gli dico: «Così e così». E gli racconto tutto. La storia di donna Rofoela gli piacque molto, e allora mi disse: «Bene, ci andremo, deve esser bello, balio». Saputo la cosa, Antonio Dalvy s’arrabbiò come un cane, e mi imprecò come un demonio. Allora donna Lillica disse: «E invece ci vado anch’io!». Antonio Dalvy continuò ad arrabbiarsi, ma poi è partito per un viaggio, e noi siamo venuti.
- Eh, quella donna è forte, eh?
- Bisogna saperlo! - disse Ghisparru.
- E non le manca punto la collana! - osservò con malizia il custode.
- E, ci tiene, alla collana, e ad altre cose!
Finito di cenare, i due vecchi usciron fuori. I cortili si rianimavano. Una colonna di fumo, un acre odore di lentischio, salivano spandendosi, dal fuoco che cominciava ad ardere e crepitare nelle spianate.
I cavalli dei Dalvy s’urtavano, scalpitavano, facendo un gran chiasso entro la loggia.
- Sarebbe bene abbeverarli e poi sfamarli - disse il custode.
- E se li rubano?
- Macché!
Ghisparru andò verso la loggia, e cercò d’acquietar le bestie; ma queste facevano peggio, sferrando calci al muro ed al suolo.
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