Si sedette lievemente sulla panchetta, sull’orlo ombreggiato da un ramo, e attese, tendendo sempre le orecchie ad ogni minimo rumore, e guardando il bimbo. Le manine specialmente attiravano il suo sguardo: dovevano esser fredde fredde, le piccole mani dalle corte dita affusolate. Il desiderio di toccarle, di stringerle entrambe entro la palma della sua mano destra, invadeva Matteo: ma lo ratteneva il timore di svegliare il piccino. Intanto l’ora passava, nessuno si lasciava vedere, e l’aria diventava fresca.

Quell’attesa strana, l’inquietudine e la curiosità unite ai suoi tristi pensieri, stancarono ben presto Matteo. Egli decise di svegliare il bimbo, di interrogarlo, e possibilmente ricondurlo ai suoi. Stese la mano, la ritirò, pensò con amarezza:

- Dopo tutto cosa m’importa? Perché impicciarmi in un affare che può recarmi dei fastidi? Nulla più mi attacca alla vita ed ai viventi. Andiamo dall’altra parte del boschetto: anche se questo bimbo mi scopre, che importa? Forse che io m’accorgerò più di nulla?

Si passò una mano sul volto.

- Pietà? Dovere? - disse fra sé duramente. - Io non ho più che fare nella vita, e l’immischiarmi in quest’affare non può che prolungare il mio spasimo. Ora che, dopo tante lotte, ero deciso…

Ma esaminandosi meglio s’accorse che s’interessava al bimbo dormente, non per pietà o dovere, ma perché ciò gli causava piacere, un piacere triste e accorato, sì, ma esclusivamente egoista.

Il senso della vita parlava ancora in lui. Continuò a pensare:

- Ebbene, poiché è per mio piacere lasciamo correre. Andiamo. Né dovere né piacere: nulla più deve trattenermi nella vita.

E s’alzò bruscamente, pentendosi d’essersi lasciato vincere dall’idea romantica di venire a morire nel boschetto.

- In casa a quest’ora tutto sarebbe finito…

Rimase ancora un po’ ritto, sempre fissando il bimbo.

- Ebbene, sì, svegliamolo, accada quel che vuol accadere - pensò improvvisamente; e sedutosi di nuovo vicino al bimbo lo scosse dolcemente. Il piccino tremò tutto, sollevò il capo e spalancò due grandi occhi scuri spaventati, fissandoli tosto su Matteo. Non pianse né gridò.

Matteo provò uno strano imbarazzo, e non trovava parola per rassicurare il muto spavento del bimbo. Fu questo che parlò per il primo, balbettando, cercando di sciogliersi dal braccio col quale Matteo lo circondava, e tentando slanciarsi giù dalla panca e fuggire.

- Lasciami… lasciami andare…

- Non aver paura, carino - disse Matteo rattenendolo. - Io ti voglio bene.

Senti. Non fuggire, carino. Ti ho visto dormire qui, solo solo, di notte, e siccome in questo bosco ci sono delle cattive bestie ho voluto svegliarti.

- Cattive bestie? Dove sono? - chiese il bambino, restringendosi in sé, e tremando un po’ anche per il freddo.

- Dove sono? Sono nascoste qua e là ed escono più tardi.

- E come sono?

- Sono… sono così, come lucertole, serpentelli…

- Serpentelli! - esclamò il bimbo, che, svegliato completamente, ricordava ogni cosa.