- Vedi, carino, ora è notte e di notte non si può viaggiare. Partiremo domani mattina. Prima ti conduco a casa mia, ti do tanti bei libri con le figure.

- Colorate?

- Sì, anche colorate, sai: come ti chiami, suvvia, dimmelo?

- Gino.

- Oh, bravo! Gino, dunque…

Ma il bambino parve pentirsi.

- No, non mi chiamo Gino, mi chiamo con un altro nome.

- Ebbene, sia pure un altro nome, io ti voglio chiamar Gino. Dunque dicevo, libri con belle figure colorate. Poi partiremo. Sei passato in questa strada per venire?

- Sì, qui. E nelle figure cosa c’è? C’è la pattuglia? - domandò abbassando paurosamente la voce.

Matteo non rispose. Improvvisamente, pensando che tornava alla casa ove aveva creduto di non rientrar mai più, lo coglieva un senso di gelo. Tutte le sue angosce, da qualche istante assopite, lo sopraffecero. Dimenticò il piccolo sconosciuto che teneva fra le braccia e pensò:

- Perché ho prolungato la mia agonia?

Il bimbo s’accorse vagamente che il suo amico s’era mutato, e lo guardò fisso, timido, tutto in preda anch’egli dei suoi piccoli pensieri. Che aveva quel signore che lo teneva fra le braccia? Lo ingannava? Se invece di condurlo a casa sua e dargli i libri con le figure colorate, lo consegnava alla pattuglia?

Nella piccola mente la pattuglia, quel gruppo invisibile di soldati camminanti nella notte a passo cadenzato, accompagnato da un misterioso tintinnìo di sciabole, aveva qualche cosa di mostruoso, più sottilmente spaventoso di tutti gli intangibili fantasmi infantili.

- Dov’è ora la pattuglia? - domandò con voce soffocata.

Matteo capì il lavorìo della piccola mente, e volle profittarne.

- Non so dov’è, ma possiamo incontrarla fra poco, e se tu non mi dici come ti chiami…

- Mi chiamo Gino Lauretti.

- Lauretti? Non conosco nessuno che si chiami così - pensò Matteo, rapidamente esaminandosi; e non volle indugiarsi per non perder il momento propizio.

5

Il bimbo fremeva leggermente. Matteo camminava lesto, sotto la luna, un po’

stanco per l’insolito peso, e nuovamente dimentico di sé.

- Dunque ti chiami Gino Lauretti. Bravo. E tuo papà si chiama Antonio?

- No, si chiama Andrea.

- Ah, Andrea? E mammà?

- Mammà è morta.

Matteo cominciò a capire, ma confusamente.

- E i fratellini e le sorelline?

- Non ne ho, non ne ho - disse il bimbo con forza, drizzandosi sulla schiena. I suoi grandi occhi brillarono. - Essa dice che Lauretta è mia sorella, ma non è vero, non è vero! È brutta Lauretta, e mi batte anch’essa.