Io non la voglio.

Matteo ascoltava intensamente, sempre camminando lesto.

Nelle parole del bimbo c’era tutta una storia dolorosa. Chi era essa? La matrigna? Giudicò opportuno lasciar dire al piccino tutto ciò che voleva, senza interromperlo.

- Quando c’è papà essa sta zitta, o dice ridendo che io sono cattivo. E papà allora mi sgrida, ed io ho paura e non dico nulla. Quando poi papà è uscito essa si mette a gridare, e dice che è la padrona, e mi batte e mi rinchiude al buio.

Io ho paura. Poi mi dice: «Gioca con Lauretta, con tua sorella». Ma io non la voglio. Mi graffia, sai. E dice che il serpentello è suo. Io le dico: «Tu sei la figlia della cameriera, ed io sono figlio di papà. Io sono il padrone». E essa dice: «E io sono la padrona, perché mia madre comanda qui». «No, tu sei la figlia della cameriera, e il padrone sono io». «Ma io sono tua sorella». «Tu? Tu mi sei nulla. Vattene via, vattene via, io non ti posso vedere, io non ti voglio». Allora essa mi graffia, e poi grida e dice che l’ho graffiata io.

Allora viene essa, e mi batte, e mi chiude all’oscuro…

- Chi essa? Lauretta?

- No, essa, Luigina. La madre di Lauretta.

- Ha il grembiale bianco essa? - domandò Matteo, per assicurarsi se essa era ancora cameriera, o se il padre di Gino l’aveva sposata.

- Ce l’ha quando c’è gente.

- Benissimo. E poi?

- E papà l’altro giorno è partito, e ha detto che mancava qualche giorno. Allora Lauretta ha detto: «Ora sono io la padrona»; e s’è messa a correre sulle sedie, battendole con la frusta, e mi ha preso il cavallino mio e la pecorella. E io ho gridato: «Sono io il padrone, scendi giù, occhi cisposa». Allora Luigina mi ha dato degli schiaffi e mi ha detto: «È essa la padrona, tuo padre lascerà tutto a lei, e a te nulla; e ora che non c’è esso ti chiudo al buio, a pane ed acqua, e i morti verranno a prenderti, brutto rospo». Allora io ho pensato di fuggire, di andare da papà, di dirgli tutto, e sono fuggito.