Prima di scrivergli, ho voluto conoscerlo. È un uomo di mondo, si è distinto sotto le armi, è anziano, vedovo, ha una figlia e due figli ai quali vuole molto bene e dai quali è adorato. Di nobili natali, è uomo colto, intelligente, di umore gaio, con un gusto spiccato per le belle arti. È soprattutto una persona originale. Mi hanno fatto l’elogio della sua sensibilità, del suo senso dell’onore, e della sua probità; e dal vivo interesse che ha dimostrato per il mio affare, nonché da tutto quello che mi è stato detto di lui, ho desunto che non mi ero affatto compromessa rivolgendomi a lui. Non c’è però da illudersi che si risolva a mutare la mia sorte senza sapere chi sono, ed è questo il motivo che mi induce a vincere il mio amor proprio e la mia ritrosia nel cominciare queste memorie in cui descrivo una parte delle mie sventure, rinunciando ad ogni pretesa di stile, con l’ingenuità dei miei giovani anni e la franchezza del mio carattere. Poiché il mio protettore potrebbe esigerlo, o potrebbe anche venirmi l’estro di portarle a termine in un tempo in cui fatti remoti potrebbero non esser più presenti alla memoria, ho pensato che il riassunto che li conclude, e la profonda impressione che me ne resterà finché vivo, basteranno a farmeli ricordare con esattezza.
Mio padre era avvocato. Aveva sposato mia madre allorché era già in età alquanto avanzata. Ebbe tre figlie. Possedeva un patrimonio più che sufficiente per accasarle convenientemente, ma per questo occorreva almeno che la sua tenerezza fosse equamente suddivisa, e non mi è certamente possibile fare di lui un simile elogio.
Certamente io ero superiore alle mie sorelle per intelligenza e per l’aspetto, nonché per il carattere e le doti che possedevo, ma pareva che questo affliggesse i miei genitori. Poiché i vantaggi che la natura e il mio impegno personale mi avevano accordato diventavano per me fonte di dispiaceri, fin dalla più tenera età ho desiderato assomigliare alle sorelle per essere amata, vezzeggiata, festeggiata e perdonata come loro. Se avveniva che qualcuno dicesse a mia madre: «Avete delle figliole deliziose…» mai il complimento mi riguardava. A volte ero ampiamente vendicata di siffatta ingiustizia, ma le lodi ricevute mi costavano così care quando restavamo sole, che l’indifferenza, e persino le ingiurie, sarebbero state altrettanto gradite: quanto più grande era stato l’interesse che gli estranei mi avevano 6
testimoniato, tanto maggiore era il risentimento dei miei una volta che se n’erano andati. Quante volte ho pianto per non essere nata brutta, sciocca, stupida, orgogliosa, con tutti quei difetti, insomma, per cui le mie sorelle meritavano la predilezione dei nostri genitori!
Mi sono chiesta allora da dove provenisse quella stranezza in un padre e in una madre che erano peraltro onesti, giusti e devoti. Debbo confessarvelo, signore?
Alcuni discorsi sfuggiti a mio padre, che era violento per natura, in certi impeti di collera, l’avere associato alcune circostanze a diversi intervalli di tempo, talune mezze parole di vicini, chiacchiere di domestici, mi hanno fatto sospettare una ragione che in parte li scuserebbe. Forse mio padre nutriva qualche dubbio sulla mia nascita; forse ricordavo a mia madre una colpa commessa e l’ingratitudine di un uomo cui aveva dato troppo ascolto: come posso saperlo? Ma quand’anche i miei sospetti fossero infondati, che rischierei nel confidarveli? Voi brucerete questo mio scritto e io vi prometto di bruciare le vostre risposte.
Dato che eravamo venute al mondo a poca distanza l’una dall’altra, crescemmo tutte e tre insieme. Si presentarono dei partiti. La maggiore delle mie sorelle fu chiesta in sposa da un giovane attraente. Era bello ed aveva più criterio di quanto la sua giovane età promettesse. Mi accorsi che egli aveva posto l’occhio su di me ed intuii che presto lei sarebbe stata soltanto il pretesto delle sue assiduità. Presentii tutte le afflizioni che una simile preferenza mi avrebbe attirato e misi in guardia mia madre. Fu forse la sola cosa nella mia vita che le sia stata gradita, ed ecco come ne venni ricompensata. Quattro giorni dopo, o almeno pochi giorni dopo, mi fu detto che era stato fissato per me un posto in convento, e fin dal giorno seguente vi fui condotta. Stavo tanto male a casa mia che quella decisione non mi addolorò affatto.
Così entrai a Santa Maria, il mio primo convento, tutta allegra. Nel frattempo il pretendente di mia sorella, non vedendomi più, mi dimenticò, ed essi si sposarono. Si chiama K; è notaio ed abita a Corbeil, e ha un pessimo rapporto con la moglie.
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