Chi sarà vivo allora? Chi sarà morto? Due sono lunghi… possono avvenire tante cose in due anni…

A queste insidiose affermazioni fece seguire tante carezze, tante manifestazioni d’amicizia, tante dolci bugie: sapevo dov’ero, non sapevo dove mi avrebbero condotta, e così mi lasciai persuadere. Ella dunque scrisse a mio padre. La sua lettera era perfetta: oh, quanto a questo non si poté far di meglio. Non vi si taceva niente: né la mia pena, né il mio dolore o le mie proteste. Vi assicuro che una fanciulla più scaltra di me ne sarebbe stata tratta in inganno; tuttavia finiva col dare il mio consenso. E con quale sollecitudine furono fatti i preparativi! Venne stabilito il 8

giorno, vennero confezionati i miei abiti, giunse il momento della cerimonia senza che, ancor oggi, io possa scorgere il minimo intervallo tra tante cose.

Dimenticavo di dirvi che vidi mio padre e mia madre, che non trascurai nulla per toccarne il cuore, e che li trovai inflessibili.

Il sermone fu fatto dall’abate Blin, dottore della Sorbona, e la vestizione dal signor vescovo di Alep. Questa cerimonia di per sé non è già allegra, ma quel giorno fu più triste. Anche se le monache, piene di sollecitudine, fossero tutte intorno a me per sostenermi, venti volte mi sentii mancare le ginocchia e mi vidi sul punto di cadere sui gradini dell’altare. Non sentivo niente, non vedevo niente, ero istupidita. Mi portavano, e io andavo; mi interrogavano e vi era chi rispondeva per me.

Ciononostante, quella crudele cerimonia ebbe fine; tutti se ne andarono ed io rimasi in mezzo al banco al quale mi avevano aggregata. Le mie compagne mi attorniarono; mi abbracciavano e si dicevano: — Ma guardatela, sorella, com’è bella, come il velo nero fa risaltare il candore della sua carnagione! Come le sta bene il soggolo! Come le arrotonda il volto! E come le fa lisce le guance! Come l’abito dà rilievo alla sua vita sottile e alle sue braccia!…

Io le ascoltavo appena. Ero desolata. E tuttavia, devo ammetterlo, quando fui sola nella mia cella, mi ricordai delle loro adulazioni e non potei fare a meno di controllare nel mio piccolo specchio. Mi sembrò che non fossero del tutto fuori luogo.

Quel giorno alla novizia vengono riserbati onori particolari. Per me furono addirittura esagerati, ma io non vi fui molto sensibile. Finsero di credere il contrario e me lo dissero, benché fosse chiaro che non era affatto vero. La sera, dopo le preghiere, la superiora venne nella mia cella:

— In verità, — mi disse dopo avermi osservata per un momento, — non so perché quest’abito vi ripugni tanto; vi sta a meraviglia e voi siete incantevole; suor Susanna è una bellissima monaca, tutti vi ameranno di più per questo. Vediamo un po’, camminate. Non vi tenete abbastanza dritta: non dovete stare curva in quel modo…

Mi atteggiò la testa, i piedi, le mani, la vita, le braccia; fu quasi una lezione di Marcel sulle grazie monastiche, giacché ogni stato ha le proprie. Poi si sedette e mi disse:

— Va bene così, ma adesso parliamo un po’ seriamente. Ci sono due anni davanti a voi. I vostri genitori possono cambiar parere; forse voi stessa vorrete restare quando vorranno farvi uscire. Ciò non sarebbe impossibile.

— Disingannatevi, signora!

— Siete stata a lungo tra di noi, ma non conoscete ancora la nostra vita. Ha le sue pene, lo ammetto, ma ha anche le sue dolcezze…

Vi sarà facile immaginare, signore, tutto quello che poté aggiungere a proposito del mondo e del chiostro. È scritto ovunque, e ovunque nella stessa maniera, grazie a Dio mi hanno fatto leggere le innumerevoli storie che i religiosi vanno diffondendo sul loro stato, che ben conoscono e che detestano, contro il mondo che amano, che disprezzano e che non conoscono.