Ed intanto ecco giungere il momento in cui si trattava di dimostrare se sapevo tener fede alla mia parola. Una mattina, dopo l’uffizio, vidi entrare la superiora nella cella.
Aveva una lettera in mano. Il suo volto era atteggiato a tristezza e abbattimento. Le braccia le pendevano lungo il corpo. Sembrava che la sua mano non avesse la forza di sollevare quella lettera. Mi guardava, e i suoi occhi sembravano gonfi di lacrime. Ella taceva, ed io pure; aspettava che parlassi per prima. Ne ebbi la tentazione, ma mi trattenni. Mi chiese come mi sentissi; mi disse che l’uffizio quel giorno era stato davvero lungo; che io avevo tossito un po’; che le sembrava stessi poco bene. Al che risposi: — No, mia cara madre. — Teneva sempre la lettera in quella sua mano penzolante, e mentre faceva tutte quelle domande la posò sui suoi ginocchi dove in parte era nascosta dalla mano; infine, dopo essersi dilungata su qualche domanda a proposito di mio padre, di mia madre, vedendo che non le chiedevo che cosa fosse quella carta, mi disse: — Ecco una lettera…
A queste parole, sentii che il mio cuore si turbava e aggiunsi con la voce spezzata e le labbra tremanti:
— È di mia madre?
— Avete indovinato: prendete, leggete…
Mi ripresi un poco, afferrai la lettera, la lessi dapprima con una certa fermezza, ma via via che andavo avanti nella lettura, spavento, indignazione, collera, dispetto, le passioni più diverse si succedevano in me; avevo voci diverse, assumevo espressioni diverse, facevo movimenti diversi. Qualche volta tenevo appena in mano quel foglio, a volte lo tenevo come se avessi voluto strapparlo, o lo stringevo con violenza come se fossi stata tentata di appallottolarlo e di buttarlo lontano da me.
— Ebbene, figliola mia, che cosa risponderemo a questa?
— Signora, lo sapete bene.
— Ma no, non lo so. Le circostanze sono contrarie, la vostra famiglia ha subìto delle perdite. Gli affari delle vostre sorelle vanno male, tutte e due hanno molti figli.
Si sono dissanguati per maritarle e si rovinano per sostenerle. È impossibile che vi costituiscano un po’ di dote; avete preso l’abito; hanno affrontato delle spese; con questo vostro passo avete suscitato delle speranze; la voce della vostra professione imminente si è sparsa in società. D’altra parte, potete sempre contare sul mio appoggio. Non ho mai spinto nessuno a scegliere la vita religiosa. Dio soltanto può chiamarci a questa scelta, ed è molto pericoloso mescolare la propria voce alla sua.
Non mi metterò mai a parlare al vostro cuore, se la grazia è per lui muta. Fino ad oggi non ho da rimproverarmi l’infelicità di un’altra persona, vorreste che cominciassi con voi, figliola mia, voi che mi siete tanto cara? Non ho neppure dimenticato che avete 11
fatto i primi passi obbedendo ai miei suggerimenti e non tollererò che se ne abusi per farvi assumere impegni contrari alla vostra volontà. Perciò vediamo insieme la situazione, concertiamoci. Volete fare professione?
— No, signora.
— Non sentite nessuna inclinazione per lo stato religioso?
— No, signora.
— Non obbedirete ai vostri genitori?
— No, signora.
— Che cosa intendete divenire, allora?
— Tutto, eccetto monaca. Non voglio esserlo, non lo sarò.
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