Ma di solito non è un pensiero politico a consigliare l’eccesso. È la tentazione dell’eccesso a essere pressoché irresistibile. Nell’Iliade talvolta sono pronunciate parole ragionevoli; quelle di Tersite lo sono in sommo grado. Quelle di Achille irritato lo sono parimenti:

 

Nulla mi vale la vita, neppure tutti i beni che si dice
contenga Ilio, la città così prospera...58
Poiché si possono conquistare buoi, grassi montoni...59
Una vita umana, una volta andata, non la si riconquista più.60

 

Ma le parole ragionevoli cadono nel vuoto. Se a pronunciarle è un inferiore, è punito e tace; se è un capo, non vi conforma i suoi atti. E all’occorrenza si trova sempre un dio a consigliare l’insensatezza. Alla fine l’idea stessa che si possa voler sfuggire all’occupazione assegnata dalla sorte, quella di uccidere e di morire, sparisce dallo spirito:

 

    ... noi a cui Zeus
dalla giovinezza ha assegnato, e fino alla vecchiaia, di penare
in dolorose guerre, finché perisca anche l’ultimo.61

 

Quei combattenti, come tanto tempo dopo quelli di Craonne, si sentivano «tutti condannati».62

Sono caduti in questa situazione mediante la più semplice delle trappole. Alla partenza il loro cuore è leggero, come sempre quando si ha con sé la forza e contro di sé il vuoto. Le armi sono nelle loro mani; il nemico è assente. A meno che la reputazione del nemico non abbatta la forza d’animo, si è sempre molto più forti di un assente. Un assente non impone il giogo della necessità. Nessuna necessità appare ancora allo spirito di coloro che se ne vanno così, ed ecco perché se ne vanno come a un gioco, come a una vacanza dalla costrizione quotidiana.

 

Dove sono andate le nostre vanterie, quando ci dicevamo
così prodi,
quelle che a Lemno vanitosamente declamavate,
ingozzandovi di carne di buoi dalle corna diritte,
bevendo nelle coppe traboccanti di vino?
Che a cento o a duecento Troiani ciascuno
avrebbe tenuto testa in battaglia; ed ecco che uno solo è troppo per noi.63

 

Persino una volta provata, la guerra non cessa subito di sembrare un gioco. La necessità propria alla guerra è terribile, tutt’altra da quella legata alle opere della pace; l’anima vi si sottomette soltanto quando non può più sfuggirle; e finché le sfugge trascorre giorni liberi dalla necessità, giorni di gioco, di sogno, arbitrari e irreali. Il pericolo è allora un’astrazione, le vite distrutte sono come giocattoli rotti da un bambino e altrettanto insignificanti; l’eroismo è una posa teatrale, e macchiato di vanteria. Se inoltre, per un momento, un afflusso di vita moltiplica la potenza d’azione, ci si crede irresistibili in virtù di un aiuto divino che garantisce contro la disfatta e la morte. Allora la guerra è facile ed è amata ignobilmente.

Ma per la maggior parte dei guerrieri questo stato non dura. Viene un giorno in cui la paura, la sconfitta, la morte dei compagni diletti fanno piegare l’anima del combattente sotto la necessità. Allora la guerra cessa di essere un gioco o un sogno; il guerriero capisce infine che esiste realmente. È una realtà dura, infinitamente troppo dura per poter essere sopportata, poiché racchiude la morte. Il pensiero della morte non può essere sostenuto se non a sprazzi, quando si sente che la morte è in effetti possibile. È vero che ogni uomo è destinato a morire, e che un soldato può invecchiare tra le battaglie; ma per coloro la cui anima è sottoposta al giogo della guerra, il rapporto tra la morte e l’avvenire non è lo stesso che per gli altri uomini. Per gli altri la morte è un limite imposto in anticipo all’avvenire; per essi è l’avvenire stesso, l’avvenire assegnato loro dalla professione. Che degli uomini abbiano come avvenire la morte è contro natura. Dal momento che la pratica della guerra ha reso sensibile la possibilità di morte che ogni minuto racchiude, il pensiero diventa incapace di passare da un giorno all’altro senza traversare l’immagine della morte. Lo spirito è allora in uno stato di tensione che può sopportare solo per poco tempo; ma ogni nuova alba porta la stessa necessità; giorno dopo giorno, passano anni. L’anima patisce violenza tutti i giorni. Ogni mattina l’anima si mutila di ogni aspirazione, perché il pensiero non può viaggiare nel tempo senza passare per la morte. Così la guerra cancella ogni idea di scopo, persino l’idea degli scopi della guerra. Cancella il pensiero stesso di porre fine alla guerra.