Lo sposo, evocando le umiliazioni della schiavitù che attendono la donna amata, omette quella il cui solo pensiero macchierebbe la loro tenerezza. Nulla è più semplice delle parole rivolte dalla sposa a colui che presto morirà:

 

    ... Meglio sarebbe per me,
se ti perdo, andare sottoterra; non avrò più
altra risorsa, quando tu avrai incontrato il tuo destino,
soltanto mali...78

 

Non meno toccanti sono le parole rivolte allo sposo morto:

 

Mio sposo, sei morto prima del tempo, così giovane; e me, vedova,
lasci sola nella mia casa; nostro figlio ancora bambino
che avemmo io e te, sventurati. E non penso
che mai sarà grande...79
...............................................................................................
Poiché morendo non mi hai tese dal tuo letto le mani,
non mi hai detto una saggia parola, a cui sempre
potessi pensare, giorno e notte, versando lacrime.80

 

L’amicizia più bella, quella tra compagni di battaglie, è il tema degli ultimi canti:

 

    ... Ma Achille
piangeva, ricordando il compagno diletto; il sonno
non lo prese, che tutto doma; si rigirava qua e là...81

 

Ma il trionfo più puro dell’amore, la grazia suprema delle guerre, è l’amicizia che sorge nei cuori di nemici mortali. Essa fa sparire la fame di vendetta per il figlio ucciso, per l’amico ucciso; per un miracolo ancora più grande cancella la distanza tra benefattore e supplice, tra vincitore e vinto:

 

Ma quando il desiderio di bere e di mangiare fu placato,
allora il Dardanide Priamo prese ad ammirare Achille,
com’era grande e bello; aveva il volto di un dio.
E a sua volta il Dardanide Priamo fu ammirato da Achille
che guardava il suo bel volto e ascoltava la sua parola.
E quando si furono saziati di contemplarsi l’un l’altro...82

 

Questi momenti di grazia sono rari nell’Iliade, ma bastano a far sentire con estremo rimpianto ciò che la violenza fa e farà perire.

Ma un tale accumulo di violenze sarebbe freddo senza un accento d’inguaribile amarezza che si fa continuamente sentire, anche se suggerito spesso da una sola parola, spesso persino da una cesura, da un rimando. L’Iliade è unica proprio per questa amarezza che deriva dalla tenerezza, e che si diffonde su tutti gli esseri umani, uguale come la luce del sole.83 Il tono non cessa mai d’essere impregnato d’amarezza, né mai s’abbassa al lamento.84 La giustizia e l’amore, per i quali non può esserci posto in questo quadro di estreme e ingiuste violenze, lo bagnano con la loro luce senza mai essere sensibili se non per l’accento. Nulla di prezioso, destinato o meno a perire, è disprezzato; la miseria di tutti è espressa senza dissimulazione né disdegno; nessun uomo è collocato al di sopra o al di sotto della condizione comune a tutti gli uomini; tutto ciò che è distrutto è rimpianto. Vincitori e vinti sono ugualmente prossimi, sono allo stesso titolo i simili del poeta e dell’uditore. Se c’è una differenza, è che la sventura dei nemici è sentita forse più dolorosamente.

 

Così cadde e lì dormì un sonno di bronzo,
lo sventurato, lontano dalla sua sposa, difendendo i suoi...85

 

Quale accento per evocare la sorte dell’adolescente venduto da Achille a Lemno!

 

Per undici giorni egli rallegrò il suo cuore tra quelli che amava,
tornato da Lemno; al dodicesimo di nuovo
tra le mani di Achille Dio lo consegnò, che doveva
mandarlo all’Ade, sebbene non volesse andarvi.86

 

E la sorte di Euforbo, colui che ha visto un solo giorno di guerra:

 

Il sangue inzuppa i suoi capelli, pari a quelli delle Grazie...87

 

Quando si piange Ettore

 

... custode delle spose caste e dei piccoli figli88

 

bastano queste parole per evocare la castità macchiata
con la forza e i bambini in balia delle armi. La fonte
alle porte di Troia diventa un oggetto di straziante
rimpianto, quando Ettore la oltrepassa correndo per
salvare la sua vita condannata:

 

Lì accanto si trovavano larghi lavatoi,
belli, tutti in pietra, dove le vesti splendenti
erano lavate dalle donne di Troia e dalle figlie così belle,
un tempo, in pace, prima che arrivassero gli Achei.
Là essi correvano, fuggendo, e l’altro dietro a inseguire...89

 

Tutta l’Iliade è sotto l’ombra della più grande tra le sventure che toccano agli uomini, la distruzione di una città. Questa sventura non apparirebbe più straziante se il poeta fosse nato a Troia. Ma il tono non cambia quando si tratta di Achei che muoiono lontano dalla patria.

Le brevi evocazioni del mondo della pace fanno male, tanto quell’altra vita, la vita dei vivi, appare calma e piena:

 

Fino a che fu l’aurora e il giorno crebbe,
dalle due parti i dardi piombarono, gli uomini caddero.
Ma all’ora in cui il taglialegna si dà a preparare il suo pasto
nelle gole delle montagne, quando le sue braccia sono sazie
di tagliare i grandi alberi e un disgusto gli sale al cuore,
e il desiderio del dolce cibo lo afferra alle viscere,
a quell’ora, col loro valore, i Danai ruppero il fronte.90

 

Tutto ciò che è assente dalla guerra, tutto ciò che la guerra distrugge o minaccia è avvolto di poesia nell’Iliade; i fatti di guerra non lo sono mai. Il passaggio dalla vita alla morte non è velato da alcuna reticenza:

 

Allora gli saltarono i denti; gli venne da ambo i lati
sangue agli occhi; il sangue che per le labbra e le narici
emetteva a bocca aperta: la morte con la sua nera nube l’avvolse.91

 

La fredda brutalità dei fatti di guerra non è mascherata da nulla, perché né i vincitori né i vinti sono ammirati, disprezzati, odiati. Il destino e gli dèi decidono quasi sempre della sorte mutevole delle battaglie. Nei limiti assegnati dal destino, gli dèi dispongono sovranamente della vittoria e della sconfitta; sono sempre loro a provocare le follie e i tradimenti che impediscono ogni volta la pace; la guerra è affar loro, e gli unici moventi sono il capriccio e la malizia. Quanto ai guerrieri, i paragoni che li fanno apparire, vincitori o vinti, come bestie o cose non possono destare né ammirazione né disprezzo, ma soltanto il rimpianto che gli uomini possano essere a tal punto trasformati.

La straordinaria equità che ispira l’Iliade ha forse esempi a noi sconosciuti, ma non ha avuto imitatori. Si avverte appena che l’autore è greco e non troiano.92 Il tono del poema sembra recare diretta testimonianza dell’origine delle parti più antiche; la storia forse non ci darà mai chiarimenti al riguardo. Se si crede, con Tucidide, che ottant’anni dopo la distruzione di Troia gli Achei subirono a loro volta una conquista,93 ci si può chiedere se quei canti, nei quali raramente si fa menzione del ferro, non siano canti di quei vinti, alcuni dei quali andarono forse in esilio. Costretti a vivere e a morire «lontano dalla patria»94 come i Greci caduti davanti a Troia, avendo perduto come i Troiani le loro città, ritrovavano se stessi sia nei vincitori, che erano i loro padri, sia nei vinti, la cui miseria somigliava alla loro; la verità di quella guerra ancora vicina poteva mostrarsi loro attraverso gli anni, senza essere velata né dall’ebbrezza dell’orgoglio né dall’umiliazione. Potevano figurarsela a un tempo da vinti e da vincitori, e conoscere così ciò che mai né vincitori né vinti hanno conosciuto, essendo gli uni e gli altri accecati. Ma questo non è che un sogno; su tempi tanto remoti si può soltanto sognare.

Ad ogni modo, questo poema è una cosa miracolosa. In esso l’amarezza concerne l’unica giusta causa d’amarezza, la subordinazione dell’anima umana alla forza, vale a dire, in fin dei conti, alla materia. Questa subordinazione è la stessa in tutti i mortali, sebbene l’anima la porti diversamente secondo il grado di virtù. Nessuno vi è sottratto nell’Iliade, così come nessuno vi è sottratto sulla terra. Nessuno di quelli che vi soccombono è considerato per questo degno di disprezzo. Tutto ciò che, nell’intimo dell’anima e nelle relazioni umane, sfugge all’imperio della forza è amato, ma amato dolorosamente, a causa del pericolo di distruzione continuamente sospeso. Tale è lo spirito dell’unica vera epopea che l’Occidente possegga. L’Odissea sembra essere soltanto un’eccellente imitazione, ora dell’Iliade ora di poemi orientali; l’Eneide è una imitazione che, per quanto brillante, è deturpata dalla freddezza, dalla declamazione e dal cattivo gusto.