Ciò avviene perché coloro che sono giudicati vengono giudicati vestiti; giacché vengono giudicati da vivi. Ebbene, molti di quelli che hanno un’anima criminale sono rivestiti di un bel corpo, di nobiltà, di ricchezza; e quando ha luogo il giudizio sono accompagnati da molti testimoni, che attestano come abbiano vissuto rettamente. Tutto questo impressiona i giudici. E per di più anche costoro giudicano vestiti. Gli occhi, le orecchie, il loro intero corpo è un velo davanti alla loro anima. Tutto questo, le loro vesti così come quelle degli imputati, fa da ostacolo. Anzitutto, dunque, bisogna che gli uomini non conoscano più in anticipo l’ora della propria morte; adesso la conoscono. Si dica a PROMETEO di porre fine a questo. Bisogna poi che nel momento del giudizio tutti siano nudi; bisogna dunque che vengano giudicati da morti. Anche il giudice deve essere nudo, dev’essere morto; con l’anima deve contemplare l’anima di ciascuno subito dopo la morte, una volta che sia stata abbandonata da tutti i familiari e abbia lasciato ogni orpello di quaggiù, affinché il giudizio sia giusto. Sapendo tutto questo prima di voi, ho scelto come giudici i miei figli [...], e quando saranno morti, allora giudicheranno nella prateria, all’incrocio dal quale si diramano due strade: quella che conduce alle isole dei beati e quella che conduce al Tartaro”». <Gorgia, 523 a-524 a>32

 

«A mio avviso la morte non è altro che la separazione tra due cose, l’anima e il corpo; una volta separate, ciascuna è pressappoco nello stesso stato in cui era quando l’uomo viveva ... Se qualcuno ... aveva un corpo grande ... il suo cadavere è grande ... e così per il resto. Se da vivo portava sul corpo segni di frustate, cicatrici di percosse e di ferite, tutto questo si vedrà sul suo corpo anche da morto. Mi sembra che per l’anima accada lo stesso. Nell’anima nuda e spogliata del corpo appare ogni cosa: le disposizioni naturali e gli effetti che l’anima subisce a causa di ogni attaccamento a un oggetto. Quando si arriva davanti al tribunale ... <il giudice> contempla l’anima di ognuno senza sapere a chi appartenga, ma sovente, nello scorgere quella del gran re o di un altro re o di un altro potente, vede che a causa degli spergiuri e delle ingiustizie che ha commesso l’anima è piena dei segni delle frustate e delle cicatrici che ogni azione vi ha impresso, vede che tutto vi è distorto per effetto della menzogna e della vanità, che non vi si trova alcunché di giusto, perché essa non è cresciuta nella verità». <Ibid., 524 b-525 a>

 

«Credi dunque a me, e seguimi in quel luogo che assicura, quando vi si giunge, una vita e una morte felici. E permetti a chiunque di disprezzarti come dissennato, di oltraggiarti, se vuole, e in nome di Zeus sopporta fermamente anche la vergogna di quel colpo al volto di cui parli tanto; perché non patirai in questo caso alcunché di terribile se sei veramente bello e buono, esercitato nella virtù». <Ibid., 527 c-d>

 

In questo testo troviamo:

1. Ancora l’idea che il giudizio altro non è che l’espressione di quel che ciascuno è in realtà. Non una valutazione di ciò che ha fatto, ma la constatazione di quel che è. Le cattive azioni contano soltanto per le cicatrici che lasciano nell’anima. In questo non vi è arbitrio; vi è una rigorosa necessità.

2. L’immagine della nudità legata a quella della morte (il più antico testo al riguardo?...).33 Questa doppia immagine è mistica per eccellenza.

Non c’è uomo, per quanto saggio, chiaroveggente e giusto, che non sia influenzato dall’aspetto fisico e ancor più dalla posizione sociale delle persone («se voi credete...»).34 Effetto dell’immaginazione. Nessuno è insensibile agli abiti.