Gli astanti si guardano bene, in presenza del re, di manifestarle segni di simpatia; si limitano a ricordarle freddamente che avrebbe fatto meglio a non disobbedire. Il re, con il tono più brutale, le ordina di affrettarsi. Ma lei non può ancora rassegnarsi al silenzio:
Ecco che mi si trascina via, prendendomi per le mani,
io vergine, io senza sposo, io che non ho avuto la mia parte
né del matrimonio, né del nutrimento dei bambini.
Abbandonata, senza un amico, ahimè!
entrerò viva nella fossa dei morti.
Quale crimine ho dunque commesso davanti a Dio?
Ma perché dovrei ancora, sventurata, volgere i miei sguardi
a Dio? Chi posso chiamare in mio soccorso? Ah!
È per aver fatto il bene che mi si fa tanto male.
Ma se davanti a Dio ciò che mi s’infligge è legittimo,
nella mia sofferenza riconoscerò i miei torti.
Se sono essi in torto, non auguro loro
maggiori pene di quelle che mi fanno subire ingiustamente.16
Il re si spazientisce e finisce per trascinarla a forza. Torna dopo aver fatto murare la caverna in cui l’ha spinta. Ma ora tocca a lui soffrire. Un indovino che sa predire il futuro gli annuncia le più grandi sventure se non libera Antigone; dopo una lunga e violenta discussione, cede. Viene aperta la caverna, ma trovano Antigone già morta: è riuscita a strangolarsi; trovano anche il suo fidanzato che abbraccia convulsamente il cadavere. Il giovane si era lasciato murare volontariamente. Appena scorge il padre si alza e, in un accesso di furore impotente, si uccide sotto i suoi occhi. La regina, alla notizia del suicidio del figlio, si uccide a sua volta. Al re è annunciata questa nuova morte. L’uomo, che da re sapeva parlare così bene, crolla, annientato dal dolore. E i cittadini di Tebe concludono:
Le parole superbe degli uomini orgogliosi si pagano con terribili sventure; è così che, invecchiando, imparano la moderazione.17
2. ELETTRA
Elettra è una tragedia di Sofocle. È la più cupa e al tempo stesso la più luminosa di tutte. Vi si vede come la miseria e l’umiliazione facciano piegare sotto il loro peso un essere solo e indifeso; e non sono delle colpe, sono delle virtù – la fedeltà, il coraggio, la forza d’animo – a meritargli una sorte così dura. Ma alla fine della tragedia si assiste anche all’arrivo insperato di un fratello che rompe questa solitudine, spezza questa oppressione. Tutto si conclude nella gioia più pura.
La storia di Elettra è fatta per toccare tutti coloro che nel corso della propria vita hanno avuto occasione di sperimentare che cos’è la sventura. Certo, questa è una storia molto antica. Ma la miseria, e l’umiliazione, e l’ingiustizia, e il sentimento di essere completamente soli, di essere alla mercé della sventura, abbandonati da Dio e dagli uomini, queste cose non sono antiche. Sono di tutti i tempi. Sono cose che la vita infligge tutti i giorni a coloro che non hanno fortuna.
E le gioie che illuminano la fine della tragedia, anch’esse sono di tutti i tempi. Essere allo stremo delle forze, e vedere arrivare la liberazione; sentirsi soli nella miseria, e un giorno incontrare finalmente della simpatia umana; sono gioie che purtroppo la vita non concede a tutti quelli che ne hanno bisogno. Ma tutti quelli che soffrono oltremisura sognano di provare, un giorno, quelle gioie.
Elettra è la figlia, orfana, del comandante dell’esercito greco. Questi è morto assassinato dall’amante di sua moglie, complice dell’uccisione. Era partito, quando Elettra era ancora bambina, per una grande spedizione militare oltremare. La guerra era durata dieci anni. Dieci anni sono tanti. Come sempre in simili circostanze, molte mogli di guerrieri avevano trovato degli amanti. La madre di Elettra, Clitennestra, e il suo amante Egisto hanno ucciso il comandante vittorioso la sera stessa del suo ritorno, mentre faceva il bagno.
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