Le immagini scorrono davanti a noi e noi le viviamo. Non scegliamo alcunché. Ciò che viviamo, ogni momento, è ciò che ci viene offerto dal marionettista.124 (Non ci viene detto nulla su costui... Principe di questo mondo?).125 Non abbiamo assolutamente alcuna libertà. Si è liberi dopo la conversione (lo si è già durante), non prima. Come diceva Maine de Biran, siamo modificati.126
Il cinema sonoro somiglia abbastanza a quella caverna. Questo mostra quanto ci piaccia la nostra degradazione.
Noi nasciamo e viviamo nell’incoscienza. Non conosciamo la nostra miseria. Non sappiamo di essere in castigo, di essere nella menzogna, di essere passivi né, ovviamente, di essere inconsapevoli. Esattamente ciò che accadrebbe se quel racconto fosse vero alla lettera. Simili prigionieri si attaccherebbero con tutta l’anima alla loro cattività. È sempre questo l’effetto della degradazione causata dalla sventura: l’anima vi aderisce al punto di non riuscire più a staccarsene.
*Surrogato di rassegnazione.*
Ed è l’effetto della sventura generale, comune a tutti, di essere degli esseri umani.
Se sulla parete scorrono ombre dalle forme spaventose, i prigionieri incatenati ne soffrono. Ma non hanno la minima idea dell’essenza della loro miseria, che è la totale dipendenza dalle ombre che scorrono, né dell’errore che fa loro credere che quelle ombre siano reali.
La conversione quindi non è cosa di poco conto. La scomparsa delle catene è ancora nulla.
Le catene possono considerarsi cadute non appena un essere umano abbia ricevuto per ispirazione, o più di sovente grazie all’istruzione di un altro, orale o scritta (spesso un libro), l’idea che questo mondo non è tutto, che vi è qualcos’altro di migliore che bisogna cercare.
Ma appena si comincia a muoversi, l’inerzia e l’anchilosi sono d’ostacolo, e il minimo movimento è un insostenibile dolore. Il paragone è qui di una precisione mirabile.
Vi è allora un mezzo per rendere le cose assai facili. Se colui127 che ha fatto cadere le catene ha raccontato le meraviglie del mondo esterno – piante, alberi, cielo, sole – non vi è altro da fare che restarsene immobili, chiudere gli occhi e immaginare dentro di sé di uscire, di arrampicarsi fuori della caverna e di vedere tutte quelle cose. Per rendere più vivida l’immaginazione, si può anche immaginare di provare alcune delle sofferenze legate a quel viaggio.
Questo procedimento procura una vita assai piacevole, un grande appagamento dell’amor proprio, e il tutto senza costi.
Ogni qual volta si pensa vi sia stata conversione senza una certa quantità minima di violenza e di dolore, di fatto la conversione non ha avuto ancora luogo. Le catene sono cadute, ma l’essere è rimasto immobile e non si è mosso che in modo fittizio –
*Ma il criterio qual è? Non è il sentimento di sforzo e di sofferenza; vi sono sofferenze, sforzi immaginari. Non vi è nulla di più ingannevole del sentimento interiore. Deve esserci dunque un altro criterio.*
L’immagine di Platone indica che la conversione è un’operazione violenta e dolorosa, uno strappo, e che implica un’irriducibile quantità di violenza e di dolore da cui non si può detrarre nulla.
*Se non si è disposti a pagare il prezzo per intero, non si giunge allo scopo, anche se la detrazione è minima. *
In tutto ciò che è reale vi è qualcosa di irriducibile. Il paragone di Platone indica alcune tappe in questa operazione.
Il prigioniero le cui catene siano cadute attraversa la caverna. Non discerne alcunché; del resto si trova davvero nella penombra. A nulla gli servirebbe fermarsi ed esaminare quel che lo circonda. Deve camminare, anche a costo di mille dolori, e pur senza sapere dove sta andando. Qui è in causa solo la volontà; l’intelligenza non esercita alcun ruolo. A ogni passo bisogna fare uno sforzo, e se si smette di farlo prima di essere usciti, sia pure a un solo passo dall’uscita, non se ne uscirà mai. Gli ultimi passi sono i più duri.
*Si noti bene che fino a quando si è nella caverna, anche dopo avere a lungo camminato verso l’uscita, anche a un passo dall’uscita, non si ha alcuna idea di Dio.
Questa è la parte della volontà nella salvezza. Sforzo a vuoto, sforzo della volontà infelice e cieca, perché è senza luce.*
Una volta usciti, si soffre ancor di più a causa dell’abbagliamento, ma si è al sicuro. (A meno che, certo, non si commetta la follia di rientrare nella caverna, e allora si deve cominciare tutto daccapo).
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