E non risiede in altra cosa, un vivente, o il cielo, o la terra, o qualunque altra cosa. È se stesso, è per se stesso, è con se stesso, è di essenza unica, è eternamente reale. Le altre cose belle ne partecipano tutte, ma in modo tale244 che allorquando nascono e periscono esso non ne riceve245 né accrescimento né diminuzione né modifica alcuna ... Quando qualcuno giunge a vedere quel bello faccia a faccia è quasi giunto alla meta. Quando qualcuno [segue l’ordine già indicato] ... infine dalle [belle] scienze giunge a quella scienza che altro non è che la scienza di quel bello stesso, allora sa che cosa è il bello ... Pensiamo a che cosa sarebbe vedere il bello in sé, intatto, puro, non il bello gravato/contaminato da carni umane e da colori e da tutta quella scempiaggine mortale, ma il bello divino stesso, dall’essenza unica, se si potesse vederlo! ... [Chi lo può... ], poiché ha toccato la verità, poiché ha generato e nutrito in se stesso una virtù vera, diverrà amico di Dio e immortale, per quanto sia concesso all’uomo». <Simposio, 210 e-212 a>
«In questa azione la natura umana non può assolutamente trovare ausilio migliore dell’Amore (ερως).246 Per questo dico che ogni uomo deve onorare l’Amore». <Ibid., 212 b>
Quel bello assoluto, divino, la cui contemplazione rende amici di Dio, è la bellezza di Dio, è Dio sotto l’attributo della bellezza. Non è ancora l’approdo finale; corrisponde quindi all’essere nella Repubblica (il Verbo).
Non si tratta di un’idea generale della bellezza. Si tratta di qualcosa di totalmente diverso. Qualcosa che è oggetto d’amore, di desiderio. Qualcosa che è eternamente reale.247
Platone ha posto la via indicata dalla Repubblica sotto il patronato di Prometeo. A proposito della via248 indicata nel Fedro non nomina invece una divinità particolare; ma sia nel Fedro che nel Simposio ricorre di continuo, e con un’insistenza del tutto evidente, a vocaboli che appartengono specificamente al lessico dei misteri. Questo e il vocabolo μανία impiegato nel Fedro evocano249 il Dio della follia mistica, il dio dei Misteri, Dioniso – che altro non è che Osiride, Dio sofferente, morto e resuscitato, giudice e salvatore delle anime. Prometeo e Dioniso sono le due guide dell’anima che va verso Dio.250
Nel Simposio svolge questo ruolo l’Amore. E al riguardo Platone enuncia la teoria della mediazione.
«Tutto quello che è semidio (cattiva trad<uzione>)251 è intermediario (μεταξύ, media proporzionale) tra il mortale e l’immortale – E qual è la sua virtù252 (δύναμιν)? Interpretare (ἑρμηνεῦoν; anche Hermes è mediatore!) e comunicare agli dèi le cose umane e agli uomini le cose divine, le preghiere e i sacrifici da parte degli uomini, gli ordini e le risposte253 ai sacrifici da parte degli dèi. Esso occupa lo spazio intermedio tra l’umanità e la divinità, in modo che il tutto si trovi collegato a se stesso. Per questo attraverso di lui passa tutta l’arte della divinazione, e l’arte del sacerdozio, e i sacrifici, e i misteri, e gli incantamenti. Dio non si mescola con l’uomo, ma per mezzo di quell’intermediario si opera lo scambio e il dialogo tra la divinità254 e gli uomini». <Simposio, 202 e-203 a>
Storia della nascita dell’Amore. Figlio dell’Abbondanza, i.e. la pienezza divina, e della Miseria, i.e. la miseria umana. Poros (via, strada, espediente, risorsa), l’Abbondante (?) dormiva, ebbro di nettare. La Miseria si è unita a lui con il favore del sonno... (Tradizione sicuramente antichissima, perché il nome Poros è inesplicabile – Ma in ogni caso è Dio).
«(L’Amore) è sempre misero, rinsecchito e magro, in brandelli, scalzo, senza riparo, uso a giacere255 per terra senza un letto, a dormire davanti alle porte e per le strade, all’addiaccio, perché per la natura di sua madre ha sempre per compagna la privazione256». <Ibid., 203 c-d>
[Cfr. versi di Dante sulla povertà].
Matrimonio di san Francesco con la Povertà, vedova del Cristo.
Ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;
e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l’amò più forte.
Questa, privata del primo marito,
millecent’anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;
né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;
né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.257
«A causa del padre insidia tutto ciò che è bello e buono, essendo audace, attivo, sempre in tensione, temibile cacciatore ... Di natura non è né immortale né mortale ...
1 comment