È giunta al punto in cui la fame, lo sfinimento, la solitudine, le umiliazioni cominciano a incrinare la sua forza e il suo coraggio. Il suo carattere s’inasprisce. L’equilibrio viene meno. E poi è presa da quell’angoscia che conoscono bene le donne che conducono una vita troppo dura: l’angoscia di sentirsi invecchiare anzitempo. Si rende conto che se questa esistenza si prolungasse ancora un poco, presto non le resterebbe altro avvenire che una vecchiaia solitaria e miserabile. Già ha completamente perduto la freschezza della gioventù.

La tragedia ha inizio con l’arrivo di Oreste; ma egli si nasconde, ed Elettra non ne sa nulla. È mattino. Elettra ha qualche momento di libertà e va a trascorrerlo presso la tomba del padre. Insieme a lei sono alcune donne della città. Queste donne la compatiscono. Ma la compatiscono come di solito si compatiscono gli sventurati, cioè con molta incomprensione e una buona dose d’indifferenza. Tuttavia Elettra non ha altri a cui parlare; non può fare a meno di confidare loro le sue sofferenze.

 

Che Dio m’invii mio fratello!
Sola, non posso più sostenere
il peso delle pene, sotto il quale mi piego.18
Instancabilmente l’attendo. Non ho figli,
ahimè, né marito. Deperisco di giorno in giorno.
Le mie lacrime scorrono senza sosta. Invano
le pene si aggiungono alle pene. Ed egli mi dimentica.19
Già la miglior parte della mia vita è passata,
trascorsa nella disperazione. Non ne posso più.
Senza genitori, l’amarezza mi consuma.
Non c’è un uomo che mi ami e mi protegga.
Come l’ultima delle serve,
devo lavorare nella casa di mio padre;
vestita di questi stracci umilianti
devo restare in piedi attorno a mense deserte.20

 

Le donne cercano di calmarla, ma le resta da dire il suo dolore più intollerabile:

 

Nella mia casa, con l’assassino di mio padre
abito; sono ai suoi ordini; e dipende da lui accordarmi
il sostentamento, impormi delle privazioni.21

 

D’altra parte si rende conto che questa esistenza troppo dura ha finito con l’abbassarla:

 

In queste condizioni, amiche, non posso essere né ragionevole,
né buona. Coloro a cui si è fatto troppo male
non possono evitare di diventare malvagi.22

 

A questo punto la sorella di Elettra, Crisòtemi, arriva con la bocca piena di buoni consigli. Crisòtemi si è resa la vita confortevole. Ha ceduto alla forza, si è completamente sottomessa. In cambio è trattata come una figlia, mentre Elettra è vestita, nutrita, comandata come una schiava. Crisòtemi non si sente sventurata. Certo, l’uomo sotto il cui tetto vive, che deve adulare, al quale deve piacere per essere trattata bene, è l’uomo che ha ucciso suo padre. Ma a questo Crisòtemi preferisce non pensare. La vita è tanto più comoda quando ci si sa piegare alle peggiori ingiustizie, e dimenticare che sono ingiustizie! Crisòtemi assiste alle sofferenze di Elettra senza comprenderle, con un po’ di pietà e molta irritazione. Perché non sottomettersi quando si è il più debole? Si sistemerebbe tutto così bene se soltanto Elettra fosse meno ostinata! Crisòtemi glielo ha detto spesso. Glielo ripete ancora. Elettra respinge violentemente i suoi consigli:

 

No, no, mai, in nessun caso, anche se dovessero
accordarmi i favori di cui vai così fiera
io cederei a costoro. A te le mense
riccamente imbandite, a te la vita opulenta.
Non fare violenza al mio cuore, questo sarà
il mio nutrimento. Non invidio i tuoi privilegi.23

 

Crisòtemi informa la sorella che Egisto, stanco dei suoi continui pianti, ha deciso di rinchiuderla lontano in una segreta.