È una finzione.
– Dov’è allora la tomba dello sventurato?
– Non esiste. I vivi non hanno tomba.44
Per un momento Elettra tace. Il respiro le manca. Ha paura di capire:
Che dici figlio?
– Nient’altro che la verità.
– Sarebbe dunque vivo?
– Sì, se io sono vivo.
– Saresti tu dunque lui?
– Ecco, guarda al mio dito questo anello
di mio padre, e vedi se dico il vero.45
La miseria, la solitudine, l’umiliazione, la disperazione, tutto è cancellato.46 Uscendo dal più profondo sconforto, fratello e sorella si ritrovano.47 Si guardano negli occhi, si toccano, si riconoscono; i loro pensieri si confondono in uno stesso slancio di gioia pura:
Oh luce benedetta!
– Luce benedetta, è vero.
– Oh voce, sei dunque qui?
– Non tendere più l’orecchio altrove.
– Ti tengo tra le mie braccia?
– Tienimi così per sempre.48
La gioia di Elettra esplode in esclamazioni di allegria. Oreste fatica a calmarla. La prudenza s’impone, perché l’opera di liberazione non è ancora compiuta. Ma presto si presenta un’occasione favorevole. Oreste uccide Clitennestra ed Egisto. L’oppressione è infine spezzata. Elettra è libera.
3. FILOTTETE
(FRAMMENTO)
Filottete è il dramma dell’abbandono.49 Un uomo è stato abbandonato deliberatamente da altri uomini, lasciato solo, malato e senza risorse su un’isola deserta. Giorno dopo giorno riesce, a prezzo di sforzi sovrumani, a non morire di freddo, di fame, di sete. Molti anni dopo tornano da lui fingendo di volerlo salvare, ma è un inganno: sta per essere abbandonato di nuovo in una situazione ancora più atroce. Alla fine tutto si sistema, ma per una sorta di miracolo.
Questo dramma ci tocca da vicino. Certo, da molto tempo non si abbandonano più le persone su un’isola deserta. Ma non c’è bisogno di essere su un’isola deserta per essere abbandonati. Quanti esseri umani ai giorni nostri muoiono, dimenticati, di miseria e di abbandono, talvolta al centro di una grande città... La loro morte rientra nelle statistiche; qualche volta, se si sono suicidati, si concede loro qualche riga tra le notizie di cronaca. Ma nessuno si chiede che cosa è accaduto nel loro spirito e nel loro cuore. Si preferisce non pensarci.
II
L’«ILIADE» O IL POEMA DELLA FORZA
Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade è la forza.1 La forza adoperata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. L’anima umana vi appare continuamente modificata dai suoi rapporti con la forza, trascinata, accecata dalla forza di cui crede di disporre, piegata sotto la costrizione della forza che subisce. Coloro che avevano sognato che la forza, grazie al progresso, appartenesse oramai al passato hanno visto in questo poema un documento; coloro che, oggi come un tempo, sanno discernere la forza al centro di ogni vicenda umana vi trovano il più bello, il più puro degli specchi.
La forza è ciò che fa di chiunque le è sottomesso una cosa. Quando è esercitata fino in fondo fa dell’uomo una cosa nel senso più letterale, perché ne fa un cadavere. C’era qualcuno, e un attimo dopo non c’è nessuno. Un quadro che l’Iliade non si stanca di presentarci:
... i cavalli
facevano risuonare i carri vuoti per le vie della guerra.
In lutto per i loro aurighi senza macchia. Essi a terra
giacevano, agli avvoltoi assai più cari che alle loro spose.2
L’eroe è una cosa trascinata dietro a un carro nella polvere:
... Tutto intorno, i capelli
neri erano sparsi, e la testa per intero nella polvere
giaceva, poc’anzi incantevole; ora Zeus ai suoi nemici
aveva permesso di avvilirla sulla sua terra natale.3
L’amarezza di un quadro simile l’assaporiamo pura, senza che nessuna confortante finzione l’attenui, nessuna immortalità consolatrice, nessuna scialba aureola di gloria o di patria.
La sua anima fuori delle sue membra s’involò, se ne andò all’Ade
piangendo il suo destino, lasciando il vigore e
la giovinezza.4
Più straziante ancora, tanto il contrasto è doloroso, è l’evocazione improvvisa, subito cancellata, di un altro mondo, il mondo lontano, precario e toccante della pace, della famiglia, quel mondo in cui ogni uomo è per chi lo circonda ciò che conta di più.
Ella gridava alle sue serve dai bei capelli dentro la dimora
di mettere sul fuoco un grande tripode, che ci fosse
per Ettore un bagno caldo al ritorno dalla battaglia.
L’ingenua! Non sapeva che ben lungi dai bagni caldi
il braccio di Achille lo aveva piegato, a cagione di Atena dagli occhi verdi.5
Certo, era lontano dai bagni caldi, lo sventurato. Né era il solo. Quasi tutta l’Iliade si svolge lontano dai bagni caldi.
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