Quasi tutta la vita umana si è sempre svolta lontano dai bagni caldi.

La forza che uccide è una forma sommaria, grossolana della forza. Ben più varia nei suoi procedimenti, ben più sorprendente nei suoi effetti è l’altra forza, quella che non uccide; quella cioè che non uccide ancora. Sicuramente ucciderà, o forse ucciderà, oppure è soltanto sospesa sull’essere che a ogni momento può uccidere; in ogni caso muta l’uomo in pietra. Dal potere di trasformare un uomo in cosa facendolo morire deriva un altro potere, ben altrimenti prodigioso, quello di fare una cosa di un uomo che resta vivo. Egli è vivo, ha un’anima; tuttavia è una cosa. Strano essere, una cosa che ha un’anima; strano stato per l’anima. Chi può dire quanto ad ogni istante, per adattarvisi, deve torcersi e ripiegarsi su se stessa? L’anima non è fatta per abitare una cosa; quando vi è costretta, non c’è più nulla in lei che non soffra violenza.

Un uomo disarmato e nudo sul quale si punti un’arma diventa cadavere prima di essere colpito. Ancora per un momento egli riflette, agisce, spera:

 

Egli pensava, immobile. L’altro, insensato, gli si avvicina
ansioso di toccargli le ginocchia. Voleva in cuor suo
sfuggire la morte malvagia, il nero destino...6
E con un braccio gli stringeva per supplicarlo le ginocchia,
con l’altro tratteneva la lancia acuta senza lasciarla...7

 

Ma presto capisce che l’arma non devierà, e mentre ancora respira non è più nient’altro che materia, mentre ancora pensa non può pensare più nulla:

 

Così parlò quel figlio splendido di Priamo
con parole supplici. Udì una parola inflessibile...8
................................................................................
Disse; all’altro mancano le ginocchia e il cuore;
lascia la lancia e s’accascia, le mani tese,
le due mani. Achille sguaina la spada acuta,
colpisce alla clavicola, lungo il collo; e tutta intera
affonda la spada a due tagli. Quello, sulla faccia, a terra
giace disteso, e il sangue nero scorre inzuppando la terra.9

 

Quando, al di fuori della battaglia, uno straniero debole e senza armi supplica un guerriero, non per questo è condannato a morte; ma un attimo d’impazienza da parte del guerriero è sufficiente a togliergli la vita. Tanto basta perché la sua carne perda la principale proprietà della carne viva. Un pezzo di carne viva manifesta la vita innanzitutto con il sussulto; una zampa di rana, sotto la scarica elettrica, sussulta; la vista ravvicinata o il contatto con una cosa orribile o terrificante fa sussultare qualsiasi fascio di carne, nervi e muscoli. Soltanto un tale supplice non trasale, non freme; non gli è più consentito; le sue labbra toccheranno l’oggetto che per lui è più carico d’orrore:

 

Non si vide entrare il grande Priamo. Si arrestò,
strinse le ginocchia di Achille, baciò le sue mani,
terribili, omicide, che gli avevano massacrato tanti figli.10

 

Lo spettacolo di un uomo ridotto a tale grado di sventura gela quasi come la vista di un cadavere:

 

Come quando la dura sventura colpisce qualcuno che in patria
ha ucciso, e arriva in casa altrui,
di un ricco; un fremito afferra chi lo vede;
così Achille fremette a vedere il divino Priamo.
Anche gli altri fremettero, guardandosi l’un l’altro.11

 

Ma non è che un attimo, e subito la presenza dello sventurato è dimenticata:

 

Disse. L’altro, al pensiero del padre, desiderò piangerlo;
afferratogli il braccio, scostò un poco il vegliardo.
Entrambi ricordavano, l’uno Ettore uccisore di uomini,
e si scioglieva in lacrime ai piedi di Achille, faccia a terra;
ma Achille piangeva suo padre, e a momenti anche
Patroclo; i loro singhiozzi riempivano la dimora.12

 

Non per insensibilità Achille, con un gesto, ha spinto a terra il vegliardo aggrappato alle sue ginocchia; le parole con cui Priamo aveva evocato il vecchio padre lo hanno commosso fino alle lacrime. Semplicemente si comporta e si muove in piena libertà, come se al posto di un supplice fosse un oggetto inerte a toccare le sue ginocchia. Gli esseri umani attorno a noi con la loro sola presenza hanno il potere, che appartiene soltanto a loro, di fermare, reprimere, modificare tutti i movimenti che il nostro corpo abbozza; un passante non devia il nostro cammino per strada allo stesso modo di un cartello, quando si è soli non ci si alza, non si cammina, non ci si risiede nella propria stanza allo stesso modo di quando c’è un visitatore. Ma questa indefinibile influenza della presenza umana non è esercitata da quegli uomini che un moto d’impazienza può privare della vita ancor prima che un pensiero abbia avuto il tempo di condannarli a morte. Davanti a loro gli altri si muovono come se non ci fossero; ed essi a loro volta, nel pericolo in cui si trovano di essere ridotti a niente in un istante, imitano il nulla. Spinti cadono, caduti restano a terra, finché per caso a qualcuno non venga in mente di rialzarli. Ma anche quando siano stati infine rialzati e onorati di parole cordiali, non si azzardano a prendere sul serio questa resurrezione, non osano esprimere un desiderio; una voce irritata li ricondurrebbe subito al silenzio:

 

Disse, e il vegliardo tremò e obbedì.13

 

I supplici almeno, una volta esauditi, tornano a essere uomini come gli altri. Ma ci sono esseri più sventurati che, senza morire, sono diventati cose per tutta la vita. Nelle loro giornate non c’è alcun margine, alcun vuoto, alcun campo libero per qualcosa che venga da loro stessi. Non sono uomini che vivano più duramente di altri, posti socialmente più in basso di altri; si tratta di una diversa specie umana, un compromesso tra l’uomo e il cadavere. Che un essere umano sia una cosa è, da un punto di vista logico, una contraddizione; ma quando l’impossibile è diventato realtà, la contraddizione diventa strazio per l’anima. Questa cosa aspira ogni momento a essere un uomo, una donna, e non vi riesce mai. È una morte che si prolunga per tutta una vita; una vita che la morte ha congelato molto prima di averla soppressa.

La vergine, figlia di un sacerdote, subirà questa sorte:

 

Non la restituirò.