Capisce? Ma non dice niente.”
Quella notte finimmo, sull'automobile del solito Guido, in un locale alto sul mare, per una strada tutta curve e brulicante di bagnanti. C'era un'orchestrina e qualcuno ballava. Ma il piacere del luogo stava in certi tavolini con lampada velata sparsi in anfratti della roccia aperti sullo strapiombo del mare. C'era un profumo di piante aromatiche e fiorite, misto alla brezza del largo, e in basso sporgendosi s'intravedevano, impiccioliti, i filari di luce della costa.
Cercai di star solo con Clelia, ma non ci riuscivo. Avevo accanto ora Doro, ora Guido, ora qualcuna delle amiche - persone isolate e intermittenti, con cui non si poteva cominciare un discorso perché di ballo in ballo si scambiavano, e Clelia invece era sempre impegnata. Venne il momento che le dissi: “Ballo anch'io,” con suo allegro stupore, e me la presi e la portai sotto i pini fuori del recinto. “Sediamoci,” dissi, “e mi spiegherà questa storia.”
Provai a chiederle perché con Doro non litigava. Bisognava provocare una crisi - le dissi - come si scuote un orologio per rimetterlo in marcia, e mi rifiutavo di credere che una donna come lei non sapesse con un semplice tono di voce costringere alla sincerità un uomo che dopotutto faceva ancora ragazzate.
“Ma Doro è sincero,” disse Clelia. “Mi ha persino raccontato di quella serenata che avete fatto a Rosina. Si è divertito?”
Credo che divenni rosso, più di dispetto che di confusione.
“E anch'io sono sincera,” proseguì Clelia sorridendo. Ebbe una voce imbronciata: “L'amico Guido anzi dice che il mio difetto è di essere sincera con tutti, di non dare a nessuno l'illusione di avere un segreto per lui solo. Carini! Ma sono fatta così. Ed è per questo che ho voluto bene a Doro...”
Qui si fermò e mi guardò di sfuggita: “Trova che sono indecente?”
Non dissi nulla. Ero seccato. Clelia tacque, poi riprese:
“Vede che ho ragione. Ma io sono indecente.
Sono indecente come Doro. Per questo ci vogliamo bene”.
“E allora, pace,” le dissi. “Che cosa sono tante storie?”
Qui Clelia mugolò, in quel suo modo infantile. “Ecco, fa come gli altri anche lei. Ma non capisce che non possiamo litigare? Noi ci vogliamo bene. Se potessi odiarlo come odio me, allora sì lo maltratterei. Ma nessuno di noi due lo merita. Capisce?”
“No.”
Clelia stette zitta, e ascoltammo scricchiolare la ghiaia e interrompersi l'orchestra e qualcuno cantare.
“Che consiglio le ha dato il suo Guido?” ripresi con la voce di prima.
Clelia alzò le spalle. “Dei consigli interessati. Lui mi fa la corte.”
“Per esempio: di avere un segreto per Doro?”
“D'ingelosirlo,” disse Clelia compunta. “Quello stupido. Non capisce che Doro mi lascerebbe fare e soffrirebbe tra sé.”
Qui venne non so che amica del gruppo a cercare Clelia, e la chiamava e rideva: rimasi solo, seduto sulla panchina. Provavo il mio solito piacere scontroso a starmene in disparte, sapendo che a pochi passi fuori dell'ombra il prossimo si agitava, rideva e ballava. Né mi mancava materia da riflettere. Accesi una pipa e me la fumai tutta.
1 comment