Nei silenzi che seguivano, ascoltavamo lo sciaguattare del fiotto tra i sassi.
L'amico Guido diceva sempre che quello sciaguattio era il vizio di Clelia, il suo segreto, la sue infedeltà a tutti noi. “Non mi pare,” disse Clelia, “lo ascolto nuda e stesa al sole, e chi vuole ci vede.” “Chi lo se,” disse Guido. “Chi sa i discorsi che una donna come lei si fa fare dalla maretta. Immagino quello che vi dite prima, quando siete abbracciati.”
Le marine di Doro - ne fece due in quei giorni - erano dipinte a colori pallidi e imprecisi, quasi che la foga stessa del sole e dell'aria, assordante e accecante, gli smorzasse le pennellate. Qualcuno s'arrampicava dietro Doro, e seguiva la mano e gli dava consigli. Doro non rispondeva. A me disse una volta che uno si diverte come può. Provai a dirgli che non dipingesse dal vero, perché tanto il mare era sempre più bello dei suoi quadretti: bastava guardarlo. Al suo posto, con la capacità che aveva lui, io avrei fatto dei ritratti: è una soddisfazione indovinare la gente. Doro ridendo mi rispose che finita la stagione chiudeva la cassette e non ci pensava più.
Una sera che s'era scherzato su questo e camminavamo con Doro verso il caffè degli aperitivi, l'amico Guido osservò, col suo tono sornione, che nessuno avrebbe detto che sotto la scorza dura e dinamica dell'uomo di mondo sonnecchiava in Doro l'anima dell'artista. “Sonnecchia sì,” rispose Doro, spensierato e contento. “Che cosa non sonnecchia sotto la scorza di noialtri. Bisognerebbe avere il coraggio di svegliarsi e trovare se stessi. O almeno parlarne. Si parla troppo poco a questo mondo.”
“Butta fuori,” gli dissi. “Che cosa hai scoperto?”
“Niente ho scoperto. Ma ti ricordi quante parole si facevano da ragazzi. Si parlava così per dire. Sapevamo benissimo ch'eran solo discorsi, eppure il gusto ce lo siamo cavato.”
“Doro, Doro,” gli dissi, “diventi vecchio. Queste cose lasciale fare a quei figlioli che non hai.”
Allora Guido s'era messo a ridere, un ridere cordiale che gl'impicciolì gli occhi. Teneva a Doro la mano intorno alla spalla, e ridendo si sosteneva. Noi guardavamo increduli la sua testa semicalva e gli occhi duri di bell'uomo in vacanza.
“Qualcosa sonnecchia anche in Guido,” disse Doro. “Ride alle volte come uno scemo.”
Osservai più tardi che Guido rideva a quel modo soltanto tra uomini. Quella sera, deposti Doro e Clelia al cancello della villa, lasciammo la macchina all'albergo e facemmo insieme quattro passi. Costeggiavamo il mare. Parlammo dei nostri amici, quasi senza volerlo. Guido spiegò il viaggio di Doro e il suo ritorno inaspettato tirando in ballo l'artista inquieto. Curioso come Doro fosse riuscito a convincerli tutti della serietà di quel suo gioco. Si parlava persino, nel crocchio quotidiano, dell'opportunità d'indurlo a esporre e a farsi dell'arte quel che si dice una professione. “Ma certo, glielo dico sempre anch'io,” interloquiva Clelia volubile.
“Roba da matti,” disse Guido quella sera.
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