“Ma Doro scherza,” dissi.
Guido tacque per qualche passo - aveva i sandali e procedevamo lenti, come due frati - poi si fermò e dichiarò brusco: “Io conosco quei due. So quel che fanno e quel che vogliono. Ma non so perché Doro dipinga dei quadri”.
“Che male c'è? lo distrae.”
C'era di male che, come tutti gli artisti, Doro non contentava la moglie. “Sarebbe a dire?”
Era a dire che il lavoro cerebrale e nervoso indeboliva la potenza virile, ragione per cui a ogni pittore toccano periodi di depressione tremenda.
“Non agli scultori?”
“A tutti quanti,” brontolò Guido, “a tutti i matti che si sforzano il cervello e che non sanno quand'è tempo di smettere.”
Eravamo fermi davanti all'albergo. Gli chiesi che vita bisognava dunque condurre secondo lui. “Vita sana,” disse. “Lavorare ma senza foga. Svagarsi, nutrirsi e discorrere. Soprattutto svagarsi”
Mi stava davanti dondolandosi sui piedi, con le mani dietro la schiena. La camicia aperta a risvolti sul petto gli dava un'aria sorniona di adolescente che la sa lunga, di quarantenne rimasto adolescente per scioperataggine. “Bisogna capire la vita,” disse ancora, strizzando l'occhio con un'espressione di disagio. “Capirla quando si è giovani.”
V
Clelia mi aveva detto che ogni mattina Doro scappava e s'andava a bagnare nel mare lattiginoso dell'alba. Per questo se ne stava poi così pigro fino a mezzodì, dietro il suo cavalletto. Qualche volta, mi disse, ci andava anche lei, ma non domani ché aveva troppo sonno. Promisi a Doro che gli avrei fatto compagnia e proprio quella notte non riuscii a dormire. Mi alzai col primo sole e giunsi, per le strade fresche e deserte, sulla spiaggia ancora umida. Era il caso di fermarmi a spiare come l'oro del sole incendiava e stagliava gli alberelli in cima alla montagna, ma sedutomi sulla spiaggia vidi accostarsi una testa nell'acqua ferma, e approdare e uscir fuori stillante il corpo scuro del mio giovanotto.
Naturalmente mi venne a parlare, e intanto si stropicciava, magro e corto, con l'asciugamano. Cercai al largo se vedevo la testa di Doro.
“Come mai solo?” dissi.
Non rispose - era tutto preso dallo sforzo - e quand'ebbe finito si sedette a pochi passi da me, rivolto al mare. Io mi girai di fianco per tener d'occhio la montagna brulicante d'oro. Berti cercò, con la punta delle dita, in un fagottino, ne trasse una sigaretta e se l'accese. Poi si scusò che ne aveva una sola.
Mi stupii che fosse tanto mattiniero. Berti fece un gesto vago e mi chiese se aspettavo qualcuno. Gli dissi che al mare non si aspetta nessuno. Allora Berti si distese bocconi con un guizzo e, appoggiato sui gomiti, fumò guardandomi.
Mi disse che l'aria di fiera che la spiaggia prendeva al sole, lo disgustava. Bambini, ombrelloni, balie, famiglie. Se fosse stato lui li avrebbe proibiti. Allora gli chiesi perché veniva al mare: poteva starsene in città dove gli ombrelloni non c'erano.
“Fra poco viene il sole,” disse, torcendosi a guardare la montagna.
Tacemmo per un po', nel silenzio appena frusciante.
“Si ferma molto?” mi chiese. Gli dissi che non sapevo, e guardai un'altra volta al largo. Un punto nero s'intravedeva. Berti guardò anche lui e mi disse: “È il suo amico.
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