Era sulla boa quando sono arrivato. Come nuota. Lei nuota?”

Dopo un poco buttò la sigaretta e si alzò. “Oggi è in casa?” disse. “Ho da parlarle.”

“Mi puoi parlare anche adesso,” dissi, levando gli occhi.

“Ma lei aspetta gente.”

Gli dissi di non fare lo scemo. Che cos'erano? lezioni?

Allora Berti tornò a sedersi e si guardò le ginocchia. Cominciò a parlare come un interrogato, ogni tanto incantandosi. Disse in sostanza che si annoiava, che non aveva compagnia e che sarebbe stato molto molto contento di discorrere con me, di leggere insieme qualche libro - no, non lezioni - ma di leggere come avevo fatto qualche volta a scuola, spiegando e discutendo, insegnandogli molte cose che sapeva di non sapere.

Lo sbirciai di mala voglia e incuriosito. Berti era di quei tipi che vengono a scuola perché ce li mandano e quando parli ti guardano la bocca con gli occhi gonfi e seccati. Adesso, nudo e abbronzato, si abbracciava le ginocchia e sorrideva inquieto. Chi sa, mi venne in mente, questi ragazzi sono i più svegli.

Se ne andò che la testa di Doro era quasi a riva. Si alzò bruscamente e mi disse "arrivederci". Tra le cabine cominciavano a passeggiare altri bagnanti, e mi parve che corresse dietro a una gonnella che scantonò fra le cabine. Ma ecco che Doro usciva dall'acqua, chino come a una scalata, liscio e gocciolante, col capo lucido sotto la cuffia che lo rendeva tutto atletico. Si fermò barcollando davanti a me e trafelava; sotto lo sterno e le costole aveva ancora i sussulti del nuoto. Irresistibilmente pensai a Guido, a quel discorso della sera prima, e mi sfuggì un sorriso vago. Doro, strappandosi la cuffia, brontolò: “Che c'è?”

“Niente” risposi. “Pensavo a quel bel tipo di Guido che sta ingrassando. Vale la pena di non sposarsi!”

“Se tutte le mattine facesse una nuotata di un'ora, diventerebbe un altro,” disse Doro, e cadde in ginocchio sulla sabbia.

Berti tornò a cercarmi in trattoria a mezzogiorno. Si fermò tra i tavoli con la giacchetta buttata a spalle sulla turchina canottiera. Gli feci segno di accostarsi. Allora venne, pigliando al volo una sedia a un tavolo, ma l'attenzione con cui lo guardavo gli mise soggezione, perché si fermò, e gli scivolò la giacca e la raccolse lasciando la sedia. Gli dissi di sedersi.

Stavolta mi offrì una sigaretta, e cominciò subito a parlare. Io accesi la pipa> senza rispondere. Lo lasciai dire quello che voile. Mi raccontò che per motivi di famiglia aveva dovuto smettere di studiare, però non s'era ancora impiegato - e adesso che aveva smesso, vedendomi aveva capito che studiare non da scolaro ma per conto proprio, per gusto, era una cosa intelligente. Disse che mi invidiava e che da un pezzo s'era accorto che io non ero soltanto un professore ma un uomo simpatico. Aveva molte cose da discutere con me.

“Per esempio,” dissi.

Per esempio, rispose, perché la scuola non si fa discorrendo con l'insegnante e magari andando a spasso con lui? Era proprio necessario perdere il tempo stando dietro a quattro stupidi che tengono ferma tutta una classe?

“Infatti, avevi tanta voglia di studiare che non ti bastava la scuola e prendevi lezioni.” Berti sorrise, e disse ch'era un'altra cosa. “E mi dispiace,” continuai, “di sapere adesso che i tuoi non sono milionari. Perché li facevi spendere in lezioni private?”

Di nuovo sorrise, in un modo che aveva qualcosa di femminile e insieme sdegnoso.