I vapori del vino bevuto facevano il resto: non stavo più a chiedermi che cosa Doro avesse in mente, gli camminavo accanto, sorpreso e felice che avessimo ritrovato il segreto di tanti anni prima.

Il manovale ci condusse sotto case sua. Ci disse di far piano per non svegliare le donne e il padre; ci lasciò sull'aia davanti ai grandi fori bui del fienile nella banda d'ombra di un pagliaio, e ricomparve poco dopo, scalzo, con due bottiglie nere sotto il braccio, ridendo con un fare da scemo. Sgattaiolammo tutti giù per il prato dietro la case, conducendo con noi il cane, e ci sedemmo sulla sponda di un fossato. Si dové bere alla bottiglia, cosa che spiacque al giovanotto della cravatta, ma Ginio disse ridendo: “Becco chi non ci sta,” e tutti ci stemmo.

“Qui possiamo cantare,” disse Ginio schiarendosi la gola. Intonò a solo, e la voce riempì la vallata; il cane non voleva più star fermo; altri cani risposero da vicino e da lontano, e allora anche il nostro cominciò a latrare. Doro rideva, rideva con un vocione contento, poi bevve ancora un sorso e si unì alla canzone di Ginio. In due fecero presto tacere i cani, quanto bastò almeno per accorgermi che la canzone era malinconica, con lunghi indugi sulle note più basse, con parole stranamente gentili in quel grosso dialetto. Naturalmente, può darsi che a renderle tali nel mio ricordo abbiano contribuito la luna e il vino. Ciò di cui sono certo è la gioia, l'improvvisa beatitudine, che provai tendendo la mano a toccare la spalla di Doro. Ne sentii il sussulto nel respiro, e improvvisamente gli volli bene perché dopo tanto tempo eravamo tornati insieme.

Quell'altro, che si chiamava Biagio, ogni tanto urlava una nota, una frase, e poi riabbassava la testa e riprendeva con me un discorso interrotto. Gli spiegai che non stavo a Genova, e che il mio lavoro dipendeva dallo Stato e da una vecchia laurea presa in gioventù. Allora mi disse che voleva sposarsi ma fare una cosa ben fatta, e per fare una cosa ben fatta bisognava avere la fortune di Doro che a Genova s'era trovato moglie e azienda tutto insieme. A me la parole azienda fa rabbia, e persi la pazienza e dissi brusco: “Ma lei conosce la moglie di Doro?... E allora se non la conosce, stia zitto”.

È quando tratto così la gente che mi accorgo di avere più di trent'anni. Ci pensai per un po', quella notte, mentre Doro e il manovale cominciavano coi ricordi del reggimento. Mi arrivò la bottiglia che, prima di passarmi, il bianco Ginio forbì con la palma della mano, e il sorso che diedi fu lungo, per sfogare nel vino i sentimenti che non potevo col canto.

“Sissignore, scusate,” mi disse Ginio riprendendo la bottiglia, “ma se tornate un altr'anno sarò sposato e ve ne stappo una in casa.”

“Ti lasci sempre comandare da tuo padre?” disse Doro.

“Non è che mi lascio, è lui che comanda.”

“Sono trent'anni che ti comanda. Non si è ancora fiaccata la schiena?”

“È più facile che gli fiacchi la sua,” disse quello della cravatta, ridendo nervoso.

“E cosa dice dell'Orsolina? te la lascia sposare?”

“Non si sa ancora,” disse Ginio, e ritirò le gambe dal fosso e diede un guizzo sull'erba come un'anguilla. “Se non mi lascia, meglio ancora,” grugnì, due passi lontano. Quell'ometto bianco come un panettiere, che faceva le capriole e dava a Doro del tu, me lo ricordo tutte le volte che vedo la luna. Feci poi ridere Clelia di cuore, descrivendoglielo. Rise con quell'aria beata che ha lei e disse: “Quant'è ragazzo Doro. Non cambierà mai”.

Ma a Clelia non dissi quel che successe dopo. Ginio e Doro attaccarono un'altra canzone e stavolta berciammo tutti e quattro. Finì che dalla cascina una voce furente ci gridò di smettere. Nel silenzio improvviso Biagio strillò un'impertinenza e ripigliò provocante la canzone. Anche Doro ricominciava, quando Ginio saltò in piedi. “No,” balbettò, “mi ha conosciuto. È mio padre.” Ma quel Biagio non voleva saperne, bisognò che Ginio e Doro gli cascassero addosso, per tappargli la bocca. Barcollando e scivolando sull'erba c'eravamo appena mossi di là, che a Doro venne un'idea. “Le sorelle delle Murette,” disse a Ginio.