“Avanti, fatti conoscere,” gli disse Doro seccamente. Dal buio Ginio chiamò, guardando in su. Mi sentii sotto la mano il suo collo freddo e ruvido. “Cantiamo,” disse a Doro. Doro non gli badò e fece un fischio sommesso come quando si chiamano i cani. Lassù parlottarono.
“Avanti,” disse Doro, “fatti conoscere,” e gli diede uno spintone che lo cacciò sotto la luna.
Ginio, sbucato al chiaro barcollando, rideva sempre e alzò il gomito a ripararsi da un supposto proiettile. Tutto taceva alla finestra. I calzonacci cascanti gl'imbrogliarono un piede e quasi lo fecero cadere. Incespicò, e si sedette per terra.
“Rosina, oh Rosina,” gridò a bocca squarciata ma soffocando la voce. “Lo sapete chi c'è?”
Venne di lassù un riso sommesso, che subito cessò.
Ginio tornò a far l'anguilla, stavolta sulla dura terra. Poggiando le mani all'indietro, diede un seguito di giravolte che lo riportarono verso la riga d'ombra. Doro s'era già alzato, col piede pronto a menargli un calcio. Ma Ginio fu lesto a saltare in piedi, e saltando gridava: “C'è Doro, Doro delle Ca' Rosse, che viene da Genova a trovare voialtre”. Pareva ammattito.
Ci fu lassù un movimento e uno scricchiolio di vetri lampeggianti; poi un tonfo pesante contro la porta, che si aprì spaccando il bianco della luna che l'inondava. Ginio, inchiodato a metà del suo ballo, era a due passi dalla soglia. Su questa era comparso un uomo, in maniche di camicia, tozzo.
Proprio in quel momento, dal fondo della piazza si levò una voce acuta, insolente - la voce di quel Biagio - che urlò: “Marina, non aprite, sono ubriachi come bestie”. Dalla finestra vennero esclamazioni, trapestio; scorsi vagamente delle braccia agitarsi.
Ma già sullo scalino l'uomo e Ginio si erano abbrancati e si dibattevano mugolando, spostandosi, soffiando come cani arrabbiati. L'uomo aveva i calzoni neri, listati di rosso. Doro, che mi teneva la spalla, si staccò d'improvviso e saltò sul viluppo. Menò a casaccio qualche calcio, aggirandosi intorno, cercando d'infilarsi nella mischia.
Poi si staccò e si fece sotto alla finestra. “Sei Rosina o Marina?” disse guardando in su. Non rispondevano. “Sei Rosina o Marina?” urlò, col piede sulla soglia.
Seguì uno schianto, era caduto qualcosa: come si seppe dopo, un vaso da fiori. Doro saltò indietro, sempre guardando lassù, dove adesso s'agitavano almeno due donne. “Non l'abbiamo fatto apposta,” disse una voce perentoria, di donna inasprita. “Vi ha fatto del male?”
“Chi è che parla?” vociò Doro.
“Sono Marina,” disse una voce più flaccida, supplichevole. “Vi siete fatto male?”
Allora uscii anch'io dall'ombra, per dire la mia. Ginio e quell'altro s'erano staccati e si giravano intorno, menandosi sventole rabbiose, cacciando grugniti. Ma subito il carabiniere con due salti ritornò sulla porta, staccandone Doro e buttandolo indietro. Le donne lassù strillavano.
Ricominciarono a spalancarsi finestre nel giro della piazzetta, e voci seccate, voci furenti, s'incrociavano.
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