L'uomo aveva richiuso la porta, e si sentì che metteva in furia la sbarra di legno. Sul nostro capo s'incrociò tutto un rosario d'ingiurie, di lagni e di voci, dominato dalla voce aspra della prima delle due donne. Sentii - ciò che finì per snebbiarmi dal vino - che il nome di Doro correva di finestra in finestra. Ginio ebbe un bel tempestare di nuovo contro la porta e gridare. Dalle finestre attraverso la piazza cominciarono a pioverci mele e certi proiettili duri - ossi di pesca - e poi, quando già Doro abbrancava Ginio e lo tirava via, un lampo da quella finestra e una gran detonazione che zittì tutti quanti.
III
A Clelia, la prima sera che facemmo lungo il mare una camminata insieme, raccontai quanto potevo dell'impresa di Doro, e cioè quasi nulla. Pure, la stravaganza della cosa la fece sorridere imbronciata. “Che egoisti,” disse. “Io qui mi annoiavo. Perché non mi avete portata con voi?”
Vedendoci arrivare, il pomeriggio dopo la scappata, Clelia non diede segno di sorpresa. Da più di due anni non la vedevo. L'incontrammo, castana e abbronzata, in calzoncini sugli scalini della villa. Mi tese la mano con un sorriso sicuro, movendo gli occhi sotto l'abbronzatura più netti e duri che in passato. E s'era subito messa a parlare di quanto avremmo fatto l'indomani. Ritardò, per farmi festa, la sua discesa alla spiaggia. Scherzando le raccomandai Doro che aveva sonno, e li lasciai a spiegarsi, loro due soli. Quella prima sera andai in cerca di una stanza, e la trovai in una viuzza appartata, con la finestra che dava su un grosso ulivo contorto, cresciuto inspiegabilmente proprio nel mezzo dell'acciottolato. Tante volte in seguito, rientrando solo, mi capitò di guardarlo sovrapensiero, che è forse la cosa che meglio rivedo di tutta l'estate. Visto dal basso, era nodoso e scarno; ma dalla stanza, quando m'affacciavo, era un sodo blocco argenteo di foglioline secche accartocciate. Mi dava il senso di trovarmi in campagna, in un'ignota campagna, e sovente fiutavo se non sapesse di salsedine. Mi è sempre parso strano che sull'orlo estremo di una costa, fra terra e mare, crescano piante e fiori e scorra acqua buona da bere. Alla mia stanza si saliva per una scaletta esterna di pietra, ripida e angolosa. Sotto di me, al pianterreno, mentre mi radevo e ripulivo, scoppiava a tratti un baccano di voci discordi, non si capiva bene se allegre o irate, qualcuna di donna. Guardai per le inferriate, scendendo, ma il crepuscolo oscurava le stanze. Fu soltanto quando mi ero già allontanato, che una voce dominò sulle altre come un a solo, una voce fresca e forte cui non seppi dare un nome, ma che avevo già sentito. Dibattendo quell'incertezza stavo per tornare indietro, quando mi venne in mente che insomma eravamo vicini e che la conoscenza di un vicino si fa sempre troppo presto.
“Doro è nei boschi,” disse Clelia quella sera che andavamo lungo la spiaggia. “Dipinge il mare” Si voltò camminando e spaziò gli occhi. “Merita. Lo guardi anche lei.”
Guardammo il mare, e poi le dissi che non capivo perché si annoiava. Clelia disse ridendo: “Mi racconti ancora di quell'ometto sotto la luna. Com'è che gridava? Anch'io l'altra notte guardavo la luna”.
“Probabilmente faceva le smorfie.
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