SEBASTIAN -

Sì, lo sento ma questo tuo parlare

è quello d’un che dorme, certamente:

parli nel sonno, tu. Ma che dicevi?

Bizzarro modo di dormire, il tuo:

ad occhi aperti, in piedi,

parlare, muoversi, gesticolare,

e tuttavia dormire come un sasso!

ANTONIO -

Sei tu che lasci, nobile Sebastian,

dormir, anzi morir, la tua fortuna…

Hai gli occhi chiusi, pur essendo sveglio.

SEBASTIAN -

Tu russi invece, ma nel tuo russare

in suoni articolati io colgo un senso.

ANTONIO -

Sono più serio, infatti, del mio solito:

e tu anche devi esser come me,

se ascolti bene ciò che sto per dirti:

un consiglio che se vorrai seguire

ti farai grande tre volte di più.

SEBASTIAN -

Io sono, in verità, un’acqua stagna.

ANTONIO -

Ed io t’insegno a diventar corrente.

SEBASTIAN -

Insegnamelo, allora,

perché ho una pigrizia ereditaria

che mi fa sempre seguire il riflusso.

ANTONIO -

Ah, se potessi solo indovinare

come carezzi questo mio disegno,

mentre lo prendi a gioco in questo modo!

Come così spogliandolo, lo vesti!

Chi per paura oppure per accidia

se ne rimane in balia del riflusso,

spesso si trova con la chiglia a fondo.(37)

SEBASTIAN -

Continua, te ne prego.

Dal tuo occhio e dal tuo atteggiamento

sembra proprio che voglia venir fuori

qualche cosa di grosso ingombro: un parto,

che sembra procurarti un gran travaglio.

(37) “Most often do so near the bottom run” : “the bottom run” è termine della nautica ed indica quella parte bassa dello scafo che collega le ossature dei due fianchi dello stesso, e sale verso l’alto restringendosi.

ANTONIO -

Ecco di che si tratta, mio signore:

nonostante che questo gentiluomo

( Indicando Gonzalo)

labile di memoria - come labile

nella memoria altrui sarà egli stesso

una volta sotterra - sia riuscito

in qualche modo a persuadere il re

- ché della persuasione egli è lo spirito,

e fare il persuasore è il suo mestiere -

che il figlio Ferdinando è ancora vivo,

io ti dico al contrario ch’è impossibile

che non sia annegato, come lui

che giace addormentato avanti a noi,

è impossibile stia nuotando in mare.

SEBASTIAN -

Anch’io non spero più che Ferdinando

non sia annegato.

ANTONIO -

Qual grande speranza

non viene a te dal tuo “non spero più”!

Ché nessuna speranza per quel verso,

è sì alta speranza per un altro,

che la stessa ambizione è riluttante

a spingere lo sguardo sì al di là

per timore di ciò che può scoprirvi.

Convieni tu con me

che Ferdinando è affogato?

SEBASTIAN -

Sì, morto.

ANTONIO -

Dimmi allora: chi è dopo di lui

l’erede alla corona?

SEBASTIAN -

Claribella.

ANTONIO -

Quella che vive a Tunisi, regina,

almeno dieci leghe più lontano

di quante occorrano per arrivarci

nel tempo di una vita?

Quella che non potrebbe aver notizia

di quanto accade a Napoli

- salvo che non le faccia da corriere

lo stesso sole, l’Uomo della Luna

essendo troppo lento alla bisogna -

prima che al mento d’uno nato oggi

sia cresciuta una barba da rasoio?

Quella da cui partiti veleggiando

per ritornare a casa, tutti quanti

fummo inghiottiti da un mare in tempesta,

ed i pochi di noi

che furon risospinti in terraferma

sono ora votati dal destino

a recitare un altro atto del dramma

di cui quel che è passato è appena il prologo,

e il resto che si deve ancora svolgere

spetta a voi ed a me d’interpretare?

SEBASTIAN -

Ma che discorso è questo? Che vuol dire?

Che la figlia di mio fratello è a Tunisi,

è vero; ch’essa sia l’erede al trono,

è vero, com’è vero, tuttavia,

che c’è tra i due paesi un certo spazio.

ANTONIO -

Uno spazio ciascun palmo del quale

grida: “Come potrà mai Claribella

misurarci per ritornare a Napoli?

Che se ne resti a Tunisi, e Sebastian

si svegli finalmente dal suo sonno!”.

( Indicando i dormienti)

Ecco: se non il sonno, ma la morte

si fosse impadronito di costoro,

non sarebbero peggio, a riguardarli,

di quel che ci si mostrano.

C’è chi può governare bene Napoli

quanto costui che dorme qui disteso;

e ci son gentiluomini capaci

di sciogliere la lingua in vaniloqui

come questo Gonzalo… Come lui,

io stesso sarei in grado di gracchiare

con l’aria più solenne e compassata…

Ah, se pensassi quel che penso io!

Che scala non sarebbe questo sonno

per salire più in alto!… Mi capisci?

SEBASTIAN -

Credo di sì.

ANTONIO -

E come accogli allora

il destro che ti porge la fortuna?

SEBASTIAN -

Ora mi viene in mente che tu stesso

hai spodestato tuo fratello Prospero.

ANTONIO -

Infatti. E guarda come mi stan bene

addosso questi suoi paludamenti:

molto meglio che i panni miei di prima.

I suoi vassalli, ch’erano miei pari,

ora sono miei sudditi.

SEBASTIAN -

Ma per la tua coscienza?

ANTONIO -

E dove sta di casa la coscienza?

Fosse un gelone a un piede,

avrei messo magari le pantofole;

ma in petto questa dea non me la sento.

Venti coscienze che si frapponessero

tra mezzo a me e il ducato di Milano,

potrebbero ghiacciarsi e poi disciogliersi,

prima d’avere il tempo necessario

a procurarmi il minimo disturbo.

Qui c’è il fratello tuo, addormentato.

Non varrebbe la terra su cui giace,

se fosse quel che appare: un uomo morto.

Con non più di tre pollici di lama

di questo docile mio pugnaletto,

io potrei metterlo a dormir per sempre;

mentre anche voi, con lo stesso sistema,

potreste chiudere in eterno gli occhi

a questo preistorico nonnulla,

questo Messer Prudenza,

che non potrebbe più rimproverarci

per questa azione. Quanto a tutti gli altri,

si prenderanno da noi l’imbeccata,

come il gatto si lappa il suo lattuccio:

regoleranno sempre l’orologio

all’ora che gli fisseremo noi.

SEBASTIAN -

D’accordo, caro amico,

il tuo caso sarà il mio precedente:

al modo stesso che tu hai seguito

per avere Milano, io avrò Napoli.