ARIELE -
Eccolo qua, il mio nobile padrone!
Che c’è da fare? Di’, che c’è da fare?
PROSPERO -
Prendere le sembianze d’una ninfa,
una ninfa del mare,
invisibile a tutti fuor che a me(18).
Va’, prendi quella forma, e torna subito.
Su, alla svelta, e con molta diligenza!
( Esce Ariele)
Prospero s’avvicina a Miranda che dorme
Su, svegliati, cuor mio!
Hai ben dormito, svegliati, mia cara!
(18) “Be subject to no sight cut thine and mine; invisible to every eyeball else” ; letteralm.: “da non essere soggetta ad MIRANDA -
( Risvegliandosi)
La stranezza di quel vostro racconto
m’ha messo addosso uno strano torpore.
PROSPERO -
Scuotilo, adesso, e vieni via con me:
andiamo dal mio schiavo Calibano,
uno che non ci fa mai concessione
di garbatezza nelle sue risposte.
MIRANDA -
È un essere malvagio, quello, padre,
e non mi piace manco di guardarlo.
PROSPERO -
Non possiamo purtroppo farne a meno
nelle presenti nostre condizioni:
ci accende il fuoco, raccoglie la legna,
e ci sbriga tante utili faccende.
( Chiamando)
Ehi, Calibano!… Schiavo, dove sei?
Zolla di terra, dico a te, rispondi!
CALIBANO -
( Da dentro)
Di legna in casa ce n’è già abbastanza!
PROSPERO -
Vieni fuori, ti dico! Vieni fuori!
C’è dell’altro da fare qui per te.
Avanti, tartaruga! Ti decidi?
Rientra ARIELE nelle sembianze d’una ninfa marina
Oh, dolce apparizione!
Mio delizioso Ariele, una parola…
All’orecchio…
( Gli sussurra qualcosa all’orecchio)
ARIELE -
Va bene. Sarà fatto.
PROSPERO -
( Chiamando)
Ehi, tu, schiavo bilioso,
concepito dalla tua trista madre
col diavolo in persona, vieni fuori!
Entra CALIBANO
altra vista che la tua e la mia, restando invisibile ad ogni altra pupilla”.
CALIBANO -
Vi piova addosso una guazza maligna,
a tutti e due, la stessa che mia madre
schiumava con la penna d’un corbaccio
dal pelo di paludi putrescenti!
E il pestifero vento di libeccio
vi soffi addosso a coprirvi di pustole!
PROSPERO -
E tu, per queste belle tue parole,
statti pur certo che stanotte stessa
sarai talmente assalito dai crampi
e da feroci trafitture ai fianchi,
da toglierti il respiro per lo spasimo
e tanti spiritelli in forma d’istrici
- ché quello della morta ora notturna
è proprio il tempo del lor maleficio -
ti faranno punture così fitte,
da ridurti la pelle un alveare,
e con aculei ancora più aguzzi
dei pungiglioni dell’api operaie.
CALIBANO -
E inghiottiamoci anche questo rospo!(19)
Ma quest’isola è mia,
da parte di mia madre, Sicorace,
e tu me la sottrai, da usurpatore.
I primi tempi della tua venuta
in questi luoghi mi volevi bene(20),
e mi tenevi grandemente in conto;
m’offrivi a bere spremute di more
e m’insegnavi quali nomi dare
alla luce più grande e alla più piccola
ch’ardono in cielo di giorno e di notte.
Ed io, che pure ti volevo bene,
ti mostrai le bellezze di quest’isola:
le fresche polle, le pozze salmastre,
le plaghe sterili e quelle feconde…
Maledizione a me, perché l’ho fatto!…
Ora vorrei che ti piovano addosso
i malefici tutti di mia madre,
e rospi, e scarafaggi, e pipistrelli!
Perch’io solo son qui tutti i tuoi sudditi,
io, che pur ero qui re di me stesso,
e mi vedo ora da te relegato
in questa ruvida balza rocciosa,
tutta l’isola essendomi interdetta!
(19) “I must eat my dinner” : passo controverso; molti lo intendono nel senso che Calibano reclami il suo pasto, non si sa se pranzo o cena (tutta l’azione del dramma si svolge, come si sa, nel pomeriggio); altri, più correttamente, intendono semplicemente che Calibano, sentendosi impotente dinanzi alla minaccia di Prospero, dica: “Devo inghiottire il boccone, che è del resto il mio pasto quotidiano”. Il che è coerente con l’ “I must obey” del v. 372 più sotto, dove lo stesso Calibano spiega perché è costretto ad obbedire, suo malgrado, agli ordini di Prospero.
(20) “Thou strok’st me” : è la forma attiva dell’espressione idiomatica “to be struck on someone” , “esser preso d’affetto per qualcuno” (normalmente dell’altro sesso).
PROSPERO -
Bugiardissimo schiavo,
sensibile soltanto alle sferzate,
mai alla gentilezza!
Malgrado fossi un mucchio d’immondizia,
io ti trattai con ogni umana cura,
e t’alloggiai nella mia stessa grotta,
finché tu non osasti di attentare
all’onore di questa mia bambina.
CALIBANO -
Ohò, così vi fossi riuscito
(ma tu giungesti in tempo ad impedirlo),
perché a quest’ora t’avrei popolato
quest’isola di tanti Calibani!
PROSPERO -
Aborrito furfante, sul cui viso
giammai s’imprimerà marchio di bene,
giacché solo di male sei capace!
Io, per pietà, m’ero presa la cura
d’insegnarti a parlare, ad ora ad ora,
ed altre cose, quando tu, selvaggio,
non sapevi nemmeno articolare
quello che avevi in animo di dire,
e ciangottavi suoni incomprensibili,
come un impasto di materia bruta;
e dotai di parole i tuoi pensieri.
Ma la tua vile e perversa natura,
se pure tardo non eri ad imparare,
aveva in sé quello che fa impossibile
ad ogni essere buono starti accanto.
Giusto, pertanto è stato, più che giusto
averti confinato in questa roccia,
che è men di quel che avresti meritato(21).
CALIBANO -
È vero, tu m’insegnasti a parlare;
e l’unico vantaggio ch’io ne traggo
è questo: che ora posso maledire.
Perciò ti colga la peste bubbonica
per avermi insegnato il tuo linguaggio!
(21) “( Thou) … has deserved more than a prison” : letteralm.: “Tu hai meritato più che una prigione” (per la tua vile e perversa natura). Questa tirata di Prospero da molte edizioni è assegnata a Miranda, perché così figura nell’in-folio; ma l’attribuzione a Prospero è chiaramente suggerita da tutto il resto del dialogo tra i due.
PROSPERO -
Va’ via, seme di strega!
Va’ a raccogliere legna! Ed alla svelta,
perché debbo affidarti altri servizi.
E che! Tu fai spallucce, malabestia?
Bada che se trascuri i miei comandi
o li eseguisci di cattiva voglia,
io ti riduco tutto un torciglione,
a spasimare coi crampi dei vecchi,
ti riempio le ossa di dolori
così atroci da farti urlare tanto
da far tremar le belve nelle tane.
CALIBANO -
No, no, ti prego!
( Tra sé)
M’è forza obbedirgli:
la sua arte di mago ha tal potere,
da soggiogare anche il dio di mia madre,
Sètebo, e far di lui un suo vassallo.
( Esce Calibano)
Rientra ARIELE, invisibile, suonando e cantando;
dietro di lui, attratto da quella musica, FERDINANDO
ARIELE -
( Canta)
“Alle spiagge dorate,
“la mano nella mano,
“a baciarvi venite,
“e il selvaggio baccano
“dei marosi zittite.
“Leggeri saltellate
“qua e là per queste prode,
“ed ogni spiritello
“intoni il ritornello”. Udite, udite!
VOCI DI SPIRITI -
( All’interno)
Bau-bau.
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