Lo sa la ragazza, che attende,
e prepara se stessa a nascondere il ventre sformato
e si gode con lui, compiacente, e gli ammira la forza
di quel corpo che serve per compiere tante altre cose.
[1933]
Tradimento
Stamattina non sono piú solo. Una donna recente
sta distesa sul fondo e mi grava la prua
della barca, che avanza a fatica nell’acqua tranquilla
ancor gelida e torba del sonno notturno.
Sono uscito dal Po tumultuante e echeggiante nel sole
di onde rapide e di sabbiatori, e vincendo la svolta
dopo molti sussulti, mi sono cacciato
nel Sangone. «Che sogno», ha osservato colei
senza muovere il corpo supino, guardando nel cielo.
Non c’è un’anima in giro e le rive son alte
e a monte piú anguste, serrate di pioppi.
Quant’è goffa la barca in quest’acqua tranquilla.
Dritto a poppa a levare e abbassare la punta,
vedo il legno che avanza impacciato: è la prua che sprofonda
per quel peso di un corpo di donna, ravvolto di bianco.
La compagna mi ha detto che è pigra e non s’è ancora mossa.
Sta distesa a fissare da sola le vette degli alberi
ed è come in un letto e m’ingombra la barca.
Ora ha messo una mano nell’acqua e la lascia schiumare
e m’ingombra anche il fiume. Non posso guardarla
– sulla prua dove stende il suo corpo – che piega la testa
e mi fissa curiosa dal basso, muovendo la schiena.
Quando ho detto che venga piú in centro, lasciando la prua,
mi ha risposto un sorriso vigliacco: «Mi vuole vicina?»
Altre volte, gocciante di un tuffo fra i tronchi e le pietre,
continuavo a puntare nel sole, finch’ero ubriaco,
e approdando a quest’angolo, mi gettavo riverso,
accecato dall’acqua e dai raggi, buttato via il palo,
a calmare il sudore e l’affanno al respiro
delle piante e alla stretta dell’erba. Ora l’ombra è estuosa
al sudore che pesa nel sangue e alle membra infiacchite,
e la volta degli alberi filtra la luce
di un’alcova. Seduto sull’erba, non so cosa dire
e m’abbraccio i ginocchi. La compagna è sparita
dentro il bosco dei pioppi, ridendo, e io debbo inseguirla.
La mia pelle è annerita di sole e scoperta.
La compagna che è bionda, poggiando le mani
alle mie per saltare sul greto, mi ha fatto sentire,
con la fragilità delle dita, il profumo
del suo corpo nascosto. Altre volte il profumo
era l’acqua seccata sul legno e il sudore nel sole.
La compagna mi chiama impaziente. Nell’abito bianco
sta girando fra i tronchi e io debbo inseguirla.
[25-30 giugno 1932]
Mania di solitudine
Mangio un poco di cena seduto alla chiara finestra.
Nella stanza è già buio e si guarda nel cielo.
A uscir fuori, le vie tranquille conducono
dopo un poco, in aperta campagna.
Mangio e guardo nel cielo – chi sa quante donne
stan mangiando a quest’ora – il mio corpo è tranquillo;
il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna.
Fuori, dopo la cena, verranno le stelle a toccare
sulla larga pianura la terra. Le stelle son vive,
ma non valgono queste ciliege, che mangio da solo.
Vedo il cielo, ma so che fra i tetti di ruggine
qualche lume già brilla e che, sotto, si fanno rumori.
Un gran sorso e il mio corpo assapora la vita
delle piante e dei fiumi e si sente staccato da tutto.
Basta un po’ di silenzio e ogni cosa si ferma
nel suo luogo reale, cosí com’è fermo il mio corpo.
Ogni cosa è isolata davanti ai miei sensi,
che l’accettano senza scomporsi: un brusío di silenzio.
Ogni cosa, nel buio, la posso sapere
come so che il mio sangue trascorre le vene.
La pianura è un gran scorrere d’acque tra l’erbe,
una cena di tutte le cose. Ogni pianta e ogni sasso
vive immobile. Ascolto i miei cibi nutrirmi le vene
di ogni cosa che vive su questa pianura.
Non importa la notte. Il quadrato di cielo
mi susurra di tutti i fragori, e una stella minuta
si dibatte nel vuoto, lontano dai cibi,
dalle case, diversa. Non basta a se stessa,
e ha bisogno di troppe compagne. Qui al buio, da solo,
il mio corpo è tranquillo e si sente padrone.
[27-29 maggio 1933]
Il tempo passa
Quel vecchione, una volta, seduto sull’erba,
aspettava che il figlio tornasse col pollo
mal strozzato, e gli dava due schiaffi. Per strada
– camminavano all’alba su quelle colline –
gli spiegava che il pollo si strozza con l’unghia
– tra le dita – del pollice, senza rumore.
Nel crepuscolo fresco marciavano sotto le piante
imbottiti di frutta e il ragazzo portava
sulle spalle una zucca giallastra. Il vecchione diceva
che la roba nei campi è di chi ne ha bisogno
tant’è vero che al chiuso non viene. Guardarsi d’attorno
bene prima, e poi scegliere calmi la vite piú nera
e sedersele all’ombra e non muovere fin che si è pieni.
C’è chi mangia dei polli in città. Per le vie
non si trovano i polli. Si trova il vecchiotto
– tutto ciò ch’è rimasto dell’altro vecchione –
che, seduto su un angolo, guarda i passanti
e, chi vuole, gli getta due soldi. Non apre la bocca
il vecchiotto: a dir sempre una cosa, vien sete,
e in città non si trova le botti che versano,
né in ottobre né mai. C’è la griglia dell’oste
che sa puzzo di mosto, specialmente la notte.
Nell’autunno, di notte, il vecchiotto cammina,
ma non ha piú la zucca, e le porte fumose
delle tampe dan fuori ubriachi che cianciano soli.
È una gente che beve soltanto di notte
(dal mattino ci pensa) e cosí si ubriaca.
Il vecchiotto, ragazzo, beveva tranquillo;
ora, solo annusando, gli balla la barba:
fin che ficca il bastone tra i piedi a uno sbronzo
che va in terra. Lo aiuta a rialzarsi, gli vuota le tasche
(qualche volta allo sbronzo è avanzato qualcosa),
e alle due lo buttano fuori anche lui
dalla tampa fumosa, che canta, che sgrida
e che vuole la zucca e distendersi sotto la vite.
[1934]
Grappa a settembre
I mattini trascorrono chiari e deserti
sulle rive del fiume, che all’alba s’annebbia
e incupisce il suo verde, in attesa del sole.
Il tabacco, che vendono nell’ultima casa
ancor umida, all’orlo dei prati, ha un colore
quasi nero e un sapore sugoso: vapora azzurrino.
Tengon anche la grappa, colore dell’acqua.
È venuto un momento che tutto si ferma
e matura. Le piante lontano stan chete:
sono fatte piú scure. Nascondono frutti
che a una scossa cadrebbero. Le nuvole sparse
hanno polpe mature. Lontano, sui corsi,
ogni casa matura al tepore del cielo.
Non si vede a quest’ora che donne. Le donne non fumano
e non bevono, sanno soltanto fermarsi nel sole
e riceverlo tiepido addosso, come fossero frutta.
L’aria, cruda di nebbia, si beve a sorsate
come grappa, ogni cosa vi esala un sapore.
Anche l’acqua del fiume ha bevuto le rive
e le macera al fondo, nel cielo. Le strade
sono come le donne, maturano ferme.
A quest’ora ciascuno dovrebbe fermarsi
per la strada e guardare come tutto maturi.
C’è persino una brezza, che non smuove le nubi,
ma che basta a dirigere il fumo azzurrino
senza romperlo: è un nuovo sapore che passa.
E il tabacco va intinto di grappa. È cosí che le donne
non saranno le sole a godere il mattino.
[1934]
Atlantic Oil
Il meccanico sbronzo è felice buttato in un fosso.
Dalla piola, di notte, con cinque minuti di prato,
uno è a casa: ma prima c’è il fresco dell’erba
da godere, e il meccanico dorme che viene già l’alba.
A due passi, nel prato, è rizzato il cartello
rosso e nero: chi troppo s’accosti, non riesce piú a
leggerlo,
tanto è largo.
1 comment