I pilastri isolati nel cielo

sono un campo di gioco migliore che gli alberi

o la solita strada. I mattoni scoperti

si riempion d’azzurro, per quando le volte

saran chiuse, e ai ragazzi è una gioia vedersi dal fondo

sopra il capo i riquadri del cielo. Peccato il sereno,

ché un rovescio di pioggia lassú da quei vuoti

piacerebbe ai ragazzi. Sarebbe un lavare la casa.

Certamente stanotte – poterci venire – era meglio:

la rugiada bagnava i mattoni e, distesi tra i muri,

si vedevan le stelle. Magari potevano accendere

un bel fuoco e qualcuno assalirli e pigliarsi a sassate.

Una pietra di notte può uccidere senza rumore.

Poi ci sono le bisce che scendono i muri

e che cadono come una pietra, soltanto piú molli.

Cosa accada di notte là dentro, lo sa solo il vecchio

che al mattino si vede discendere per le colline.

Lascia braci di fuoco là dentro e ha la barba strinata

dalla vampa e ha già preso tant’acqua, che, come il terreno,

non potrebbe cambiare colore. Fa ridere tutti

perché dice che gli altri si fanno la casa

col sudore e lui senza sudare ci dorme. Ma un vecchio

non dovrebbe durare alla notte scoperta.

Si capisce una coppia in un prato: c’è l’uomo e la donna

che si tengono stretti, e poi tornano a casa.

Ma quel vecchio non ha piú una casa e si muove a fatica.

Certamente qualcosa gli accade là dentro,

perché ancora al mattino borbotta tra sé.

Dopo un po’ i muratori si buttano all’ombra.

È il momento che il sole ha investito ogni cosa

e un mattone a toccarlo ci scotta le mani.

S’è già visto una biscia piombare fuggendo

in un pozzo di calce: è il momento che il caldo

fa impazzire persino le bestie. Si beve una volta

e si vedono le altre colline ogn’intorno, bruciate,

tremolare nel sole. Soltanto uno scemo

resterebbe al lavoro e difatti quel vecchio

a quest’ora attraversa le vigne, rubando le zucche.

Poi ci sono i ragazzi sui ponti, che salgono e scendono.

Una volta una pietra è finita sul cranio

del padrone e hanno tutti interrotto il lavoro

per portarlo al torrente e lavargli la faccia.

[1933]

Civiltà antica



Il ragazzo respira piú fresco, nascosto

dalle imposte, fissando la strada. Si vedono i ciottoli

per la chiara fessura, nel sole. Nessuno cammina

per la strada. Il ragazzo vorrebbe uscir fuori

cosí nudo – la strada è di tutti – e affogare nel sole.

In città, non si può. Si potrebbe in campagna,

se non fosse, sul capo, il profondo del cielo

che atterrisce e avvilisce. C’è l’erba che fredda

fa il solletico ai piedi, ma le piante che guardano

ferme, e i tronchi e i cespugli son occhi severi

per un debole corpo slavato, che trema.

Fino l’erba è diversa e ripugna al contatto.

Ma la strada è deserta. Passasse qualcuno

il ragazzo dal buio oserebbe fissarlo

e pensare che tutti nascondono un corpo.

Passa invece un cavallo dai muscoli grossi

e rintronano i ciottoli. Da tempo il cavallo

se ne va, nudo e senza ritegno, nel sole:

tantoché marcia in mezzo alla strada. Il ragazzo

che vorrebbe esser forte a quel modo e annerito

e magari tirare a quel carro, oserebbe mostrarsi

anche sotto le strisce del cielo. Le case, che guardano,

avviliscono meno che il prato deserto.

Se si ha un corpo, bisogna vederlo. Il ragazzo non sa

se ciascuno abbia un corpo. Il vecchiotto rugoso

che passava al mattino, non può avere un corpo

cosí pallido e triste, non può avere nulla

che atterrisca a quel modo. E nemmeno gli adulti

o le spose che danno la poppa al bambino

sono nudi. Hanno un corpo soltanto i ragazzi.

Il ragazzo non osa guardarsi nel buio,

ma sa bene che deve affogarsi nel sole

e abituarsi agli sguardi del cielo, per crescere un uomo.

[1934]

Cattive compagnie



Questo è un uomo che fuma la pipa. Laggiú nello specchio,

ce n’è un altro che fuma la pipa. Si guardano in faccia.

Quello vero è tranquillo perché vede l’altro sorridere.

Prima ha visto altre cose. Su un fondo di fumo

una faccia di donna protesa a sorridere

e un idiota leccarla con gli occhi parlando.

Poi l’idiota, parlando, afferrare anche lui

e strappargli un sogghigno. Un sogghigno da idiota.

E la donna piegarsi e serrare le labbra

come avesse veduto qualcosa di nudo.

Ora, corpi di uomini nudi la donna ne vede

dal mattino alla sera, ma spoglia anche sé

e là sopra lavora, ridendo. E sogghigni ne vede

e ne fa, sul lavoro: anzi, è mezzo lavoro

un sogghigno ben fatto. Ma quando una è lí per scherzare

a parole, ferisce vedere anche l’altro,

che in silenzio ascoltava parlare l’idiota,

lampeggiare lo stesso pensiero brutale.

Donna e idiota son già ritornati a alitarsi sul volto

– si somigliano un poco le donne e gli idioti –

e la pipa vapora una faccia contratta.

Dentro il fumo è possibile fare una smorfia

e socchiudere gli occhi. La donna ridendo

schiva quello che parla pendendole addosso.

[ottobre 1933]

Piaceri notturni



Anche noi ci fermiamo a sentire la notte

nell’istante che il vento è piú nudo: le vie

sono fredde di vento, ogni odore è caduto;

le narici si levano verso le luci oscillanti.

Abbiam tutti una casa che attende nel buio

che torniamo: una donna ci attende nel buio

stesa al sonno: la camera è calda di odori.

Non sa nulla del vento la donna che dorme

e respira; il tepore del corpo di lei

è lo stesso del sangue che mormora in noi.

Questo vento ci lava, che giunge dal fondo

delle vie spalancate nel buio; le luci

oscillanti e le nostre narici contratte

si dibattono nude. Ogni odore è un ricordo.

Da lontano nel buio sbucò questo vento

che s’abbatte in città: giú per prati e colline,

dove pure c’è un’erba che il sole ha scaldato

e una terra annerita di umori.