Le allegre comari di Windsor Read Online
QUICKLY - | Ecco, vengo da vostra signoria dalla parte della signora Ford. |
FALSTAFF - | Signora Ford?… Di fiordi n’ho abbastanza dopo il bagno che ho fatto nel suo fiordo! Ho piene le budella di quell’acqua! |
QUICKLY - | Ahimè, che in tutto questo, monsignore, la poveretta non ha proprio colpa! È furibonda coi suoi servitori che han male inteso le sue erezioni. |
FALSTAFF - | E così io le mie, a illudermi di poter costruire sulle promesse d’una scervellata! |
QUICKLY - | Ah, la vedeste, com’è desolata, signore, vi si strapperebbe il cuore! Stamane suo marito va a cacciare; ella vi prega di tornar da lei, fra le otto e le nove. Debbo portarle la risposta subito. Vi farà piena ammenda, v’assicuro. |
FALSTAFF - | Va bene. Tornerò a vederla. Diglielo. E digli pure che rifletta bene che cos’è un uomo e l’umana fralezza; e giudichi, pertanto, del mio merito. |
QUICKLY - | Glielo dirò. |
FALSTAFF - | Fra le nove e le dieci, hai detto? |
QUICKLY - | No, fra le otto e le nove. |
FALSTAFF - | Bene, va’ pure. Non le mancherò. |
QUICKLY - | La pace sia con vostra signoria. (Esce) |
FALSTAFF - | Strano che ancora quel mastro Ruscello non si sia visto; m’ha mandato a dire che l’avessi aspettato… Eh, quel denaro mi farebbe assai comodo… Ma eccolo! Entra FORD come mastro RUSCELLO |
FORD - | Dio vi protegga, illustre cavaliere! |
FALSTAFF - | Caro signor Ruscello! Venite per sapere com’è andata con la moglie di Ford? |
FORD - | Per questo, appunto. |
FALSTAFF - | Non vi dirò bugia, signor Ruscello. Sono stato da lei, a casa sua, all’ora ch’ella aveva stabilito. |
FORD - | Andato tutto bene? |
FALSTAFF - | Tutto male, anzi malissimo, signor Ruscello. |
RUSCELLO - | Come mai? Ha mutato forse idea? |
FALSTAFF - | Macché, signor Ruscello, non è questo; è che quel gran cornuto del marito che, geloso com’è, vive continuamente nel sospetto, s’è presentato là che c’eravamo appena sbaciucchiati scambiando qualche dolce parolina… S’era appena, diciamo, recitato il breve prologo della commedia, e arriva lui, portandosi alle spalle una masnada di suoi compagnacci, là richiamati ed istigati apposta dalla sua furibonda gelosia; e tutti a rovistare per la casa in cerca dell’amante della moglie. |
FORD - | E voi stavate là? |
FALSTAFF - | Io stavo là. |
FORD - | E lui ha rovistato tutta casa, senza trovarvi? |
FALSTAFF - | Fatemi finire. A un certo punto, per buona fortuna, arriva là una tal madama Page ad avvertire che Ford sta arrivando; ed a costei salta in testa l’idea (con la moglie di Ford che, poveretta, non connetteva più dallo sgomento) d’infilarmi nel cesto del bucato. |
FORD - | Nel cesto del bucato? |
FALSTAFF - | Eh, sì, perdio! Era proprio il cestone del bucato. E mi ci hanno cacciato dentro a forza insieme con camicie, sottovesti, calzini, calze, tovaglioli sporchi, mutande, tutta roba unta e bisunta ch’era, credetemi, mastro Ruscello, l’accozzaglia più fetida e schifosa dei più maligni e nauseabondi lezzi ch’abbian colpito mai narice d’uomo. |
FORD - | E quanto tempo ci siete rimasto? |
FALSTAFF - | Eh, perbacco, ma state ora a sentire tutto quel che ho dovuto sopportare per cercar di portare quella donna al malo passo e compiacere a voi. Così inzeppato dentro quel cestone, dalla padrona furono chiamati un paio di screanzati villanzoni, servi di Ford, per trasportarmi via come fossero panni da lavare a Dachet, presso i banchi del Tamigi. Quelli mi si issaron sulle spalle e, uscendo, si trovarono di faccia quel tanghero geloso del padrone, che chiese, lì per lì, una-due volte, che cosa mai portassero nel cesto. Non vi sto a dir se tremai di paura al pensiero che a quel pazzo babbeo venisse in mente di frugar là dentro; senonché il Fato, avendo decretato ch’egli debba restar comunque becco, gli trattenne la mano. A farla breve, lui seguita a cercar per tutta casa, io sguscio fuori con i panni sporchi. Ma sentite ora il seguito, sentite: ho sofferto gli spasimi e l’angoscia di tre diverse morti: prima, per lo spavento intollerabile di venire scoperto lì per lì da un caprone col campanaccio al collo geloso marcio come quello là; seconda, per il rischio di restare piegato lì, come dentro a una botte, che con la testa mi toccavo i piedi curvo come una lama di Bilbao quando si prova, punta contro manico; terza ed ultima, per il gran terrore di rimaner lì dentro soffocato, come impregnato da una forte essenza in mezzo a tutti quei luridi panni emananti un fetore irresistibile e già in fermento per il lor grassume… Figuratevi, un uomo come me, della mia complessione corporale che si squaglia al calore come burro, un uomo ch’è un continuo liquefarsi, un trasudare liquido dai pori… Insomma, è stato proprio per miracolo se non son morto per soffocamento! E, al culmine di questo bagno turco, quand’ero già stracotto in quel grassume come dello stufato alla fiamminga, non mi buttano in acqua nel Tamigi? E, bollente com’ero, di colpo raffreddato in acqua gelida, mi metto a friggere ed a sibilare come - pensate un po’ mastro Ruscello - un ferro di cavallo arroventato! |
FORD - | Son proprio dispiaciuto, cavaliere, sinceramente che, per causa mia, voi abbiate sofferto tutto questo. Debbo pensare allora, cavaliere, che il mio disegno non ha più speranze? Non vorrete tentare più con lei? |
FALSTAFF - | Ah, piuttosto che arrendermi così, signor Ruscello, mi fo buttar vivo nel cratere dell’Etna, come lo sono stato nel Tamigi! Stamane suo marito è andato a caccia ed ho avuto da lei un altro invito: d’incontraci di nuovo a casa sua, tra le otto e le nove. |
FORD - | Poffarbacco! Son già passate le otto, sir John! |
FALSTAFF - | Ah, sì? Bisogna allora che m’affretti. Passate poi da me con vostro comodo e potrete sapere com’è andata; così coroneremo la conquista col godervela voi. Per ora addio. Ve la godrete, sì, mastro Ruscello! E lo farete cornuto, quel Ford! (Esce) |
FORD - | Uhm… è visione, è sogno tutto questo? Sogno o son desto?… Sveglia, mastro Ford! Ecco quel che succede ad ammogliarsi. Ecco quel che vuol dire avere in casa panni sporchi e cestoni pel bucato! Eh, ma dovrà sapere chi son io! Stavolta lo sorprendo, il libertino! È in casa mia, non può scapparmi più, non è possibile; non può sgusciare dentro ad un borsellino da due soldi, oppur dentro al barattolo del pepe! Stavolta, se il demonio che lo guida non l’aiuta, lo cerco dappertutto, nei posti più nascosti, più incredibili! Se non posso evitare d’esser quello che sono, mai sarà ch’io m’assoggetti tanto docilmente ad esser quello che vorrei non essere. Se ho corna da venir pazzo furioso, che si dimostri vero in me quel detto: “Tanto furioso da incornare tutti!” (Esce) |
ATTO QUARTO
SCENA I - Windsor, una strada davanti alla casa di Page.
MEG PAGE esce di casa con QUICKLY e GUGLIELMINO
MEG - | (A Quickly) Pensi tu ch’egli sia già a casa Ford? |
QUICKLY - | Se non c’è già, starà per arrivarci. Ma, credetemi, è proprio fuor dai càncheri, per via di quella bagnatura fredda… Madama Ford vi vuol vedere subito. |
MEG - | Sarò là fra un momento. Solo il tempo d’accompagnare a scuola il mio ragazzo. Oh, guarda, il suo maestro! È giorno di vacanza, a quanto pare. Entra don Ugo EVANS Com’è, don Ugo, niente scuola, oggi? |
EVANS - | No. Per licenza di mastro Stanghetta, oggi fanno vacanza. |
QUICKLY - | Benedetto! |
MEG - | Don Ugo, mio marito non fa che dirmi che questo ragazzo non fa nessun progresso nello studio. Non vorreste di grazia interrogarlo con qualche domandina di grammatica? |
EVANS - | Vieni qua, Guglielmino… su la testa! |
MEG - | Su, su, figliolo, tieni su la testa e rispondi al maestro, non temere. |
EVANS - | Quanti numeri ha il nome, Guglielmino? |
GUGLIELMINO - | Due. |
QUICKLY - | Ma guarda! Davvero? Pensavo ce ne fosse uno in più, perché si dice: “Dio è uno e trino”. |
EVANS - | Silenzio, voi, con queste vostre ciarle! Guglielmino, come si dice “bello”? |
GUGLIELMINO - | Pulcher. |
QUICKLY - | Bella, la pulce?… Ci son cose più belle, al mondo, eh! |
EVANS - | Siete una tonna molto sempliciotta. Silenzio. Guglielmino, cos’è lapis? |
GUGLIELMINO - | Una pietra. |
EVANS - | E cos’è una pietra? |
GUGLIELMINO - | Un sasso. |
EVANS - | No, lapis, lapis, ficcatelo in testa. |
GUGLIELMINO - | Lapis. |
EVANS - | Così va bene. E dimmi un po’, da chi son dati in prestito gli articoli? |
GUGLIELMINO - | In prestito gli articoli son dati dai pronomi, e si posson declinare, così: nominativo singolare; hic, haec, hoc. |
EVANS - | Hig, heg, hog, sì, bene, bravo. Attento adesso: genitivo huius, accusativo… |
GUGLIELMINO - | Accusativo hinc. |
EVANS - | No, ragazzo, ricòrdatelo bene: accusativo, hung, hang e hog. |
QUICKLY - | “Hang-hog” è la pancetta di maiale, in latino, ve l’assicuro io. |
EVANS - | Donna, smettetela d’interloquire! E qual è il vocativo, Guglielmino? |
GUGLIELMINO - | “O”… comincia con “O”… |
EVANS - | No, Guglielmino, ricorda bene: il vocativo è “caret”. |
QUICKLY - | “Carota”, sì, è una buona radice. |
EVANS - | E basta, insomma, buona donna! |
MEG - | Zitta! |
EVANS - | Genitivo plurale, Guglielmino? |
GUGLIELMINO - | Il genitivo… |
EVANS - | Avanti. |
GUGLIELMINO - | Il genitivo… il genitivo è horum, harum, horum. |
QUICKLY - | Che parolacce, da insegnare ai bimbi! |
EVANS - | Tacete, donna, almeno per pudore! |
QUICKLY - | Fate male a insegnare ad un bimbetto certe male parole… e chicche e cacche, già se l’imparano da loro stessi fin troppo presto. C’è da vergognarsi! |
EVANS - | Donna, sei matta? Che ne vuoi capire tu, di casi, di numeri e di generi? Davvero sei la cristiana creatura più sciocca che si possa immaginare! |
MEG - | Ti prego, sta’ tranquilla. |
EVANS - | Dammi ora, Guglielmino, qualche esempio della declinazione dei pronomi. |
GUGLIELMINO - | Oh, quelli proprio non me li ricordo. |
EVANS - | Son qui, quae, quod, ma se non li ricordi, i tuoi qui, i tuoi quae ed i tuoi quod, ti piglierai parecchie sculacciate. E adesso vattene pure a giocare. |
MEG - | Ne sa di più di quanto mi pensassi. |
EVANS - | È di buona memoria, bene sveglia. Signora Page, adesso vi saluto. |
MEG - | Arrivederci, caro reverendo. (Esce don Ugo Evans) Ragazzo, a casa, su. S’è fatto tardi. (Escono tutti) |
SCENA II - In casa di Ford. In un angolo la cesta del bucato.
Entrano FALSTAFF e ALICE FORD
FALSTAFF - | Signora Ford, il vostro dispiacere per quello che è successo ha divorato ogni mia sofferenza. M’accorgo quanto siete rispettosa nel vostro amore, ed io ve lo ricambio, voglio che lo sappiate, tale e quale, non solo quanto a intensità di sensi, ma in tutte l’altre forme e rituali ond’esso si riveste. Una cosa, però: siete sicura quanto a vostro marito? |
ALICE - | Oh, sì, è a caccia, dolce sir John. |
LA VOCE DI MEG - | (Da dentro) Ehi, oh, signora Ford! |
ALICE - | Presto, sir John, passate in quella stanza! (Falstaff sguscia nella stanza attigua, lasciando tuttavia la porta aperta) Entra MEG PAGE |
MEG - | Anima mia, chi c’è con voi in casa? |
ALICE - | Nessuno tranne i servi. |
MEG - | Veramente? |
ALICE - | Ma sì, certo! |
MEG - | (Sottovoce) Parlate un po’ più forte. |
ALICE - | Ah, son proprio contenta che non ci abbiate nessuno. |
MEG - | Perché? |
ALICE - | Ma perché, cuore mio, vostro marito è nuovamente in preda ai suoi furori; ed è laggiù che se la prende calda con mio marito; e dice peste e corna di tutti gli uomini che han preso moglie; maledice le discendenti d’Eva d’ogni colore, e si batte la fronte gridando forte “Spuntate! Spuntate!”. Francamente, qualunque scena pazza abbia potuto io veder finora, diviene agli occhi miei uno spettacolo di tenerezza, di civiltà e di sopportazione al confronto di questa sua sfuriata. Fortuna che il panciuto cavaliere non è qui. |
ALICE - | Ma perché? parla di lui? |
MEG - | Anzi, di lui soltanto; e va giurando che l’altra volta, quando l’han cercato per tutta casa, gliel’hanno sottratto sotto gli occhi nascosto dentro un cesto; e adesso insiste a dire a mio marito che quello è qui di nuovo; ed ha costretto lui e tutti gli altri a interromper la caccia, e venir via per dimostrar fondati i suoi sospetti. Ma son proprio contenta, se Dio vuole, che il vostro cavaliere non sia qui: vedrà così la propria insensatezza. |
ALICE - | Quanto vicino è già, signora Page? |
MEG - | Starà in capo alla strada… Ho idea che sarà qui tra pochi istanti. |
ALICE - | Oh, poveretta me! Son rovinata! Il cavaliere è in casa, qui, davvero! |
MEG - | Allora siete davvero nei guai e lui è un uomo morto!… Ma che fate?… Che donna siete?… Mandatelo fuori! Meglio uno scandalo che un omicidio! |
ALICE - | Fuori… Ma da che parte può scappare? Nasconderlo, piuttosto… Sì, ma dove? Ficcarlo un’altra volta nella cesta? |
FALSTAFF - | (Uscendo precipitosamente dall’altra stanza) Ah, no, eh! Nella cesta non ci torno! Non posso uscir di qui prima che arrivi? |
MEG - | Ahimè, no, sulla porta stan di guardia, armati di pistola, tre fratelli di mastro Ford, a che nessuno esca… se no per voi sarebbe stato facile scappare… Ma com’è che siete qui? |
FALSTAFF - | Che devo fare, insomma? Arrampicarmi su per la cappa del camino? |
MEG - | Ohibò! Là scaricano sempre i lor fucili. Magari introducetevi nel forno. |
FALSTAFF - | Dov’è? |
ALICE - | È inutile, ci andrà a guardare, sicuramente: non c’è ripostiglio, cassone, armadio, pozzo, sotterraneo che non si sia annotato per memoria e che non vada certo a ispezionare ad uno ad uno, inventario alla mano. Non c’è dove nascondersi qui in casa. |
FALSTAFF - | Allora vado fuori. |
MEG - | Non sia mai! Se andate fuori così come state, sir John, potete dirvi un uomo morto… salvo che non usciate travestito… |
ALICE - | Travestirlo… Ma come? |
MEG - | Non lo so, non c’è gonna sì larga che gli vada; altrimenti con una cuffia in testa, una sciarpa sul viso ed un fisciù poteva andare… |
FALSTAFF - | Cuoricini miei, inventate qualcosa; ogni arditezza piuttosto che lasciarmi in questo guaio. |
ALICE - | Di sopra ci sarebbe quella veste lasciata dalla zia della mia donna, quella grassona venuta da Brainford… |
MEG - | Dovrebbe stargli, è grassa come lui… e c’è quella sua scuffia con le gale, e la sciarpa… Sir John, correte sopra! |
ALICE - | Su, su, dolce sir John… Noi due frattanto si cerca un panno per coprirvi il viso. |
MEG - | Ma presto, presto!… Verremo su subito a travestirvi come si conviene. Voi cominciate a infilarvi la veste. (Falstaff esce per la scala che porta alle camere) |
ALICE - | Come vorrei che adesso mio marito se lo trovasse in faccia in quell’arnese! Lui, quella vecchia grassona di Brainford non l’ha potuta mai mandare giù, giura che quella è soltanto una strega, le ha vietato l’ingresso in casa mia minacciando perfino di picchiarla. |
MEG - | Lo guidi il cielo allora in faccia a lui, e guidi il diavolo le bastonate! |
ALICE - | Ma sta venendo sul serio? |
MEG - | Ahimè, sì, e non fa che parlare della cesta… Chi sa da chi può averlo risaputo… |
ALICE - | Lo scopriremo: ordinerò ai servi di portar via la cesta, come ieri, sul punto da incontrare mio marito sulla porta di casa. |
MEG - | Già, ma quello a momenti sarà qui. Andiamo, andiamo sopra a travestirlo da strega di Brainford. |
ALICE - | Prima però voglio dire ai miei servi quel che debbono fare con la cesta. Salite voi: porterò io il panno con cui si dovrà avvolgere la testa. (Esce) |
MEG - | Alla forca quest’empio trappolone! Non l’avremo beffato mai abbastanza. “E mostreremo all’uomo che allegria “d’oneste femmine onestà comporta. “Tra le femmine quella è la più ria “che fa la gattamorta”. (Esce salendo le scale) Rientra ALICE con i due SERVI |
ALICE - | Forza, ragazzi, prendete il cestone a spalla nuovamente; attenti bene: ora il padrone è alla porta di casa: se volesse veder quel che c’è dentro, obbeditegli subito. Alla svelta! |
PRIMO SERVO - | (Infilando la pertica nei due manici del cestone) Su, issa, oh! |
SECONDO SERVO - | C’è da pregare il cielo che non sia carico di cavaliere… |
PRIMO SERVO - | Speriamo proprio: piuttosto di piombo! Mentre sollevano il cesto si spalanca la porta ed entrano FORD, PAGE, ZUCCA, CAJUS e don Ugo EVANS |
FORD - | Se poi la cosa risultasse vera, mastro Page, a che santo v’appigliate per ripagarmi di tanta irrisione? (Ai servi che portano il cesto) Giù quel cesto, furfanti! Vada qualcuno a chiamare mia moglie! Il cesto dell’amante fortunato! Ruffiani! È tutta una cospirazione, una ganga, un complotto alle mie spalle! Ma adesso ti svergogno pure il diavolo! (Chiamando) Ehi, moglie, dico, vieni avanti, vieni! Vieni a veder che onesta biancheria mandi fuori a lavare! |
PAGE - | Ah, mastro Ford, questo è davvero troppo! Voi non potete restare più a lungo in questo umor di furia scatenata! Altrimenti bisognerà legarvi. |
EVANS - | È follia capricciosa, questa, diamine! È matto da sembrare un cane idrofobo. |
ZUCCA - | Davvero, mastro Ford, così non va. Rientra ALICE FORD |
FORD - | Ebbene, vieni qua, signora Ford. Lei, la signora Ford, la donna onesta, la moglie vereconda, la virtuosa con quel geloso pazzo per marito! Erano immotivati i miei sospetti, non è vero? |
ALICE - | S’è della mia virtù che tu sospetti, il ciel m’è testimone, i tuoi sospetti son senza motivo. |
FORD - | Ah, sì? Faccia di bronzo, insisti pure? (Butta fuori dal cesto alcuni panni) Esci fuori, canaglia! |
PAGE - | Ah, questo è troppo! |
ALICE - | Vergogna! Lascia stare quella roba! |
FORD - | (Seguitando a buttar fuori panni) Ora ti scovo io. Vogliamo ridere! |
EVANS - | È insensato: folete perquisire la biancheria di fostra moglie?… Evvia! |
FORD - | (Ai servi) Vuotate il cesto, ho detto! |
ALICE - | Perché? Si può sapere che t’ha preso? |
FORD - | Vi giuro, mastro Page, quant’è vero che sono un galantuomo, non più tardi di ieri, in questo cesto qualcuno è stato fatto uscir di casa. Perché non potrebb’esserci di nuovo? Son certo che sia qui, in questa casa. Le mie informazioni son precise, e i miei sospetti non sono infondati. (Ai servi) Vuotate il cesto, tutto, fino al fondo! |
ALICE - | (Mentre i servi svuotano il cesto) E se davvero là dentro c’è un uomo, spiaccicatelo lì, come una pulce! |
PAGE - | (Rovesciando la cesta vuotata) Ecco, non c’è nessuno. |
ZUCCA - | Mastro Ford, tutto ciò non è bello, e vi fa torto. |
EVANS - | Pregare voi dofete, mastro Ford, infece d’inseguir le fantasie del vostro cuore. Questa è celosia. |
FORD - | Bene, quello che cerco non sta qui. |
PAGE - | Non sta né qui né altrove, mastro Ford: quello sta solo nel vostro cervello. (I servi portano via il cesto) |
FORD - | Datemi mano ancora un altro po’ a frugar per la casa; e se non c’è, non abbiate per me nessun riguardo: ch’io divenga pure lo zimbello di tutti, e tra la gente si dica pur: “Geloso come il Ford, che cercava l’amante della moglie in un guscio di noce…” Ma, vi prego, per un’ultima volta assecondatemi: rovistate di nuovo per la casa. |
ALICE - | (Chiamando) Signora Page, olà, venite giù e portate con voi anche la vecchia. |
FORD - | La vecchia? Quale vecchia? |
ALICE - | Eh, diamine, la zia della mia donna, quella vecchia di Brainford. |
FORD - | Una strega! Una baldracca! Una vile imbrogliona! Non avevo interdetto a quella donna di rimettere piede in casa mia? È qui per qualche commissione, eh? Noi uomini siam proprio degli ingenui, che non vediamo quello che s’intriga sotto la professione di veggente: quella là traffica con incantesimi, fatture, sortilegi, cifre magiche ed altre nefandezze della specie, al di là delle nostre conoscenze. Vieni giù, strega! Scendi, fattucchiera! Avanti, scendi, dico! (Impugna un bastone) |
ALICE - | Ma no, marito mio, non far così! E voi, bravi signori, cercate d’impedirgli con le buone di bastonare una povera vecchia. (Sul ballatoio compare MEG PAGE con FALSTAFF travestito da donna) |
MEG - | Venite, madre Pratt, venite, madre, datemi la mano. (Scendono le scale) |
FORD - | Ora la pratto io! Fuori di qui! (Percuote Falstaff col bastone) Fuori di casa mia, strega, megera! Mucchio di stracci, pattumiera, puzzola, vecchia rognosa! T’esorcizzo io, ti leggo io la mano… Toh! Toh! Toh!… (Falstaff, difendendosi come può, esce scappando) |
MEG - | Povera donna! Non vi vergognate? L’avete mezzo ammazzata di botte! |
ALICE - | Oh, finirà davvero per ucciderla. Bella prodezza! |
FORD - | (Accingendosi a salire la scala) S’impicchi, la strega! |
EVANS - | Eppure credo anch’io, tra il sì e il no, che quella donna sia proprio una strega. Le donne con la barba non mi piacciono, e in viso a quella, di sotto alla sciarpa, m’è parso di vedere una gran barba. |
FORD - | (Dal ballatoio) Non volete seguirmi, miei signori? Salite, ve lo chiedo per piacere: solo perché possiate constatare se sia fondata la mia gelosia. Se avrò gettato pure questa stavolta un inutile allarme, non credetemi quando dovessi abbaiare di nuovo. |
PAGE - | Ben, secondiamo ancora il suo capriccio per un momento. Venite, signori. (Salgono di nuovo tutti) |
MEG - | L’ha bastonato assai pietosamente! |
ALICE - | Pietosamente? Gliele ha date, diamine, molto spietosamente, a mio giudizio! |
MEG - | Pietosamente, in senso religioso: quel bastone vorrei vederlo appeso sopra un altare e beatificato, perché ha reso un servizio sacrosanto. |
ALICE - | Che ne dite di stargli ancora addosso e castigarlo in qualche altra maniera, sotto la nostra franchigia di donne e della nostra tranquilla coscienza? |
MEG - | Ormai con lo spavento che s’è preso la foja gli dev’essere passata; e, se il diavolo non gli ha messo sopra ipoteca con patto di riscatto, credo gli sia passata dalla mente la pretesa di far su noi invasione come fossimo terra di nessuno. |
ALICE - | Che ne dite, dobbiamo far sapere ai mariti come l’abbiam giocato? |
MEG - | Sì, non foss’altro che per dissipare le fantasie dal cervello del vostro. E poi se anch’essi troveranno giusto che il nostro libertino cavaliere meriti d’essere ancora scornato, prenderemo noi due sopra di noi d’esser ministre dei loro propositi. |
ALICE - | Scommetto che la loro reazione sarà quella di svergognarlo in pubblico; e anch’io son dell’idea che il nostro gioco debba trovare la sua conclusione in una pubblica, solenne beffa. |
MEG - | Bene, allora pensiamo a combinarla; battiamo il ferro fin ch’è ancora caldo. (Escono) |
SCENA III - La locanda della “Giarrettiera”
L’OSTE è in faccende, mentre entra BARDOLFO
BARDOLFO - | Padrone, quei Tedeschi chiedon d’avere tre vostri cavalli. Dicon che il loro duca deve trovarsi domattina a corte ed essi devono muovergli incontro. |
OSTE - | Duca… Che duca può mai esser questo che arriva a corte in tanta segretezza? A corte, io, non ne ho sentito nulla. Vorrei parlare con questi signori. Parlano inglese? |
BARDOLFO - | Sì. Vado a chiamarli. (Esce) |
OSTE - | I miei cavalli, quelli, se li vogliono, me li dovran pagare, e come bene! Hanno avuto per una settimana tutta per loro questa mia locanda; sono stato costretto, a causa loro, a dirottar diversi altri clienti. Mi devono pagare, e come bene… Ci penso io a salassarli. Andiamo. (Esce) |
SCENA IV - In casa di Ford
Entrano FORD, PAGE, MEG, ALICE e don EVANS
EVANS - | (Indicando Alice Ford) Questa tonna è taffero, tevo tirlo, la più piena di puon discernimento sulla quale abbia mai posato gli occhi. |
PAGE - | (Alle due donne) E così vi mandò queste due lettere a tutte e due contemporaneamente? |
MEG - | A un quarto d’ora solo d’intervallo. |
FORD - | (Inginocchiandosi alla moglie) Perdono, moglie mia! D’ora innanzi fa’ tutto quel che vuoi: sospetterò che il sole sia gelato, ma non più della tua virtù di moglie. D’ora innanzi l’eretico ch’io ero avrà la tua onorabilità come suo fermo articolo di fede. |
PAGE - | Bene, bene; ma adesso, mastro Ford, basta: voi non dovete esagerare nell’umiliarvi a lei, come dianzi nell’accusarla. Pensiamo piuttosto a come combinar la nostra burla; e sian le nostre mogli a prepararci questa volta in pubblico l’occasione con cui spassarci tutti: diano convegno a quel vecchio grassone in luogo ove si possa noi sorprenderlo e castigarlo come si conviene. |
FORD - | Credo che non ci sia miglior partito di quello ch’esse stesse hanno proposto. |
PAGE - | Ossia mandargli a dir da loro due d’incontrarlo nel parco a mezzanotte? Bah, si guarderà bene dal venirci. |
EVANS - | In verità, se è stato, come dite, scaricato nel fiume e bastonato ben bene come una vecchia megera, ho idea che questa volta non verrà. Penso che la sua carne è castigata, e le sue voglie spente. |
PAGE - | Anch’io lo credo. |
MEG - | Voi dovete occuparvi solamente del trattamento da fargli nel parco; a farcelo venire è affare nostro. |
ALICE - | C’è un’antica leggenda popolare che narra come Herne il Cacciatore custode un tempo qui della Foresta di Windsor, le notti di pieno inverno, a mezzanotte in punto, s’aggira intorno ad una grande quercia con grandi corna in testa ramificate, e là dà fuoco all’albero, e cattura il bestiame, e munge latte/sangue dalle mucche e scuote una catena nel modo più terribile e sinistro. D’un tale spirito avrete udito anche voi e saprete come i vecchi, nella superstiziosa lor follia, abbiano tramandato come vera questa storia di Herne il Cacciatore fino alla nostra età. |
PAGE - | Già, non son pochi infatti oggi coloro ch’hanno paura a trovarsi a passare a notte fonda presso quella quercia… Ma costui?… |
ALICE - | Questo sarà nostro compito… di far che Falstaff venga ad incontrarci vicino a quella quercia, mascherato da Herne il Cacciatore. |
PAGE - | Bene, ammettiamo pure ch’egli venga e accetti di venire in quell’arnese: quando l’abbiate trascinato là, che ne farete? Qual è il vostro piano? |
MEG - | Ci abbiam pensato bene, ed è così: mia figlia Annetta con l’altro mio figlio e tre-quattro ragazzi come loro si vestiranno, chi bianco, chi verde, da folletti, da elfi e da fatine con candeline accese intorno al capo come corone, e in mano dei sonagli. Al momento che Falstaff e noi due c’incontreremo, sbucheranno fuori d’improvviso da un di quei fossati fatti per l’uso degli spaccalegna, cantando a tutto fiato. A quella vista, noi fuggiremo come impaurite, ed essi si daranno a circondare e punzecchiar l’immondo cavaliere, come si dice facciano le fate; e insisteranno a chiedergli il perché dell’aver egli osato calpestare, in sì profano arnese travestito, quei sacri lor sentieri nell’ora del notturno loro sabba. |
ALICE - | E finché non avrà detto il perché, le finte fate lo punzecchieranno e lo bruciacchieranno con le fiaccole. |
MEG - | E quando alfine avrà detto il perché, ci mostreremo all’improvviso noi, gli toglieremo dal capo le corna e tra sberleffi e frizzi a non finire lo scorteremo fino a casa, a Windsor. |
FORD - | Bisognerà però che quei ragazzi imparino la parte a perfezione, altrimenti la burla non riesce. |
EVANS - | A istruire i ragazzi sul modo come devon comportarsi penso io; mi vestirò io stesso da diavolo, per bruciacchiare anch’io con la mia torcia il nostro cavaliere. |
FORD - | Ma tutto ciò è magnifico, eccellente! Vado a comprare subito le maschere. |
MEG - | La mia Annetta vestirà di bianco e farà la regina delle fate. |
PAGE - | Vado a comprare per questo la seta. (A parte) Sarà quello il momento, per Stanghetta, di fuggirsene via con lei a Eton, ed andare a sposarla in quella chiesa. (Forte, alle donne) Mandate subito l’invito a Falstaff. |
FORD - | Non c’è bisogno. Vado io da lui sotto le spoglie di mastro Ruscello. A me confiderà ogni suo intento. Ma verrà, son sicuro che verrà. |
MEG - | Ah, quanto a questo non c’è nessun dubbio. Andate, procuratevi i costumi e gli altri trucchi per la mascherata. |
EVANS - | All’opra! Ci sarà di che spassarsi, con quella che sarà, tutto sommato, nient’altro che un’onesta birbonata. (Escono Page, Ford e don Evans) |
MEG - | Andate voi, signora Ford, da Quickly e speditela dritto da sir John per accertarsi delle sue intenzioni. (Esce Alice Ford) Io, nel frattempo vado dal dottore: a lui, e nessun altro va il mio consenso per sposare Annetta. Quello Stanghetta starà bene a terre, ma di persona è proprio un gran babbeo. E mio marito che lo preferisce!… Anche il dottore sta bene a finanze, del resto, ed ha potenti amici a corte. È lui, soltanto lui, che deve averla, si facessero avanti in ventimila di lui più meritevoli a richiederla! (Esce) |
SCENA V - La locanda della “Giarrettiera”
SIMPLICIO è seduto in un canto, come in attesa; entra l’OSTE e lo vede
OSTE - | Che vuoi, cafone? Che cerchi, pellaccia? Parla, fiata, ragiona, sbrigativo, breve, conciso, spiccio, avanti, parla! |
SIMPLICIO - | Eh, scusate, signore, sono qui per dire una parola a sir John Falstaff da parte del padrone mio Stanghetta. |
OSTE - | Ecco, quella lassù è la sua camera, là è la sua magione, il suo castello, con letto fisso e lettuccio da campo, e la parabola del Figliol Prodigo dipinta alle pareti, ancora fresca. Sali su, bussa, chiama: lui ti risponderà con la favella d’un antropofago. Bussa, ti dico! |
SIMPLICIO - | Ho appena visto salire da lui una vecchia, una donna un po’ grassoccia… Con licenza di vostra signoria aspetterò quaggiù che quella scenda, perché, se devo proprio esser sincero, è per parlar con lei ch’io sono qui. |
OSTE - | Eh? Una donna grassoccia?… Santo Dio! Quella là mi svaligia il cavaliere! Meglio avvertirlo. (Chiamando) Cavaliere bello! Sir John onoratissimo, rispondi! Dà fiato ai tuoi polmoni di soldato! Sei lassù? È il tuo Oste che t’appella, il tuo Efesio! |
FALSTAFF - | (Da sopra, apparendo sul ballatoio) Che c’è, Oste mio? |
OSTE - | Quaggiù c’è questo Tartaro-Boemo che sta aspettando di veder discendere quella donna grassoccia ch’è con te. Falla scendere, cocco, falla scendere! Le mie camere son tutte illibate. Niente tresche da me! Non ti vergogni? |
FALSTAFF - | C’era, sì, Oste mio, quassù con me una vecchia grassoccia, ma è partita. |
SIMPLICIO - | Con licenza di vostra signoria, non era quella la strega di Brainford? |
FALSTAFF - | Sì, proprio lei, perbacco; e tu con lei che ci avevi a che fare, guscio d’ostrica? |
SIMPLICIO - | Ecco, il padrone mio, mastro Stanghetta l’ha vista che passava per la strada e m’ha ordinato di correrle dietro per sapere da lei se un certo Nym, che gli ha rubato una catena d’oro, l’ha ancora addosso o no, quella catena. |
FALSTAFF - | Di questo con la vecchia abbiam parlato. |
SIMPLICIO - | E che ha detto, di grazia, signoria? |
FALSTAFF - | Che a rubar la catena al tuo padrone è stato quello che gliel’ha rubata, e nessun altro. |
SIMPLICIO - | Peccato, signore! Mi sarebbe piaciuto di parlarci con quella là, per chiederle altre cose, sempre da parte di mastro Stanghetta. |
FALSTAFF - | Ah, sì? Che cosa, di’. |
OSTE - | Sputalo fuori! |
SIMPLICIO - | Non posso sottacerlo, signoria. |
OSTE - | Sottacilo, o sei un uomo morto. |
SIMPLICIO - | Ebbene, si trattava di nient’altro che di madamigella Annetta Page: di sapere, cioè, se la Fortuna vuole che il mio padrone l’abbia, o no. |
FALSTAFF - | È la fortuna sua. |
SIMPLICIO - | Quale, signore? |
FALSTAFF - | Quella d’averla o no. Va’ digli questo, e che così m’ha detto quella donna. |
SIMPLICIO - | Posso osare di dir questo, signore? |
FALSTAFF - | Ma certo! Osare, osare! |
SIMPLICIO - | Vi ringrazio di cuore, signoria. Sarà molto contento il mio padrone di una tale notizia, certamente. (Esce) |
OSTE - | (A Falstaff) Sei un gran sapientone, cocco mio! Un vero sapientone! Ma c’era veramente nella camera su con te quella vecchia fattucchiera? |
FALSTAFF - | Sì, certo, Oste mio, sì che c’è stata. E m’ha insegnato anche assai più cose di quante non ne avessi mai apprese in vita mia. E senza pagar nulla; anzi, ho buscato io per la lezione. Entra BARDOLFO, inzaccherato e affannato |
BARDOLFO - | Misericordia, padrone! Una truffa! Un vero latroneccio!… |
OSTE - | I miei cavalli! Ebbene, dove sono i miei cavalli? Parla, avanti, vassallo: dove sono? |
BARDOLFO - | Scomparsi, dileguati!… Ladri, ladri! Avevo appena oltrepassato Eton in groppa, dietro ad uno di quei tre, che mi scavallan giù dentro un pantano, e loro via di sprone a gran carriera, proprio come tre diavoli tedeschi, tre dottor Faust! |
OSTE - | O pezzo d’imbecille! Son solo andati incontro al loro duca, quelli; che dici che sono scappati? Son gente onesta i Tedeschi, canaglia! (Entra don Ugo EVANS) |
EVANS - | Dov’è il mio Oste? |
OSTE - | Che c’è, signor mio? |
EVANS - | Tenete d’occhio i vostri pensionanti: c’è un amico, arrivato di città, che m’ha informato che da queste parti s’aggirano tre noti truffatori che si fanno passare per tedeschi ed han truffato cavalli e denaro a tutti i locandieri della zona, a Colebrook, a Maisenhead, a Reading. Ve lo dico pel vostro bene: attento! Voi siete un uomo pieno di ciutizio e di frizzi e d’arguzie, e non sta bene che restiate truffato. Vi saluto. (Esce) Entra il dottor CAJUS |
CAJUS - | Dov’è il mio Oste de la “Jarretière”? |
OSTE - | È qui, mastro dottore, in confusione e dubbioso dilemma. |
CAJUS - | Non so bene che è, ma m’hanno detto che fate qui grande preparazione per l’arrivo d’un duca di Jermania. Per la mia gola, non c’è nessun duca di cui si sappia a corte dell’arrivo. Ve lo dico pel vostro bene. Adieu. |
OSTE - | Al ladro! Al ladro! (A Bardolfo) Corri, va’, furfante! (A Falstaff) Soccorso, cavaliere, son finito! Son rovinato! Corri, corri, al ladro! Ah, son proprio finito, rovinato! (Esce, seguìto da Bardolfo) |
FALSTAFF - | Truffato, eh?!… Vorrei che tutto il mondo fosse truffato, dopo che io stesso sono stato truffato e bastonato. Se alla corte venissero a sapere com’io son stato metamorfosato, e come, nelle varie metamorfosi, sono stato inzuppato e bastonato, mi farebbero strugger nel mio grasso a goccia a goccia, fino a farne sego da unger gli stivali ai pescatori; mi frusterebbero coi loro lazzi fino a ridurmi, per la gran vergogna, come una pera secca. Decisamente non mi va più bene dal giorno che barai alla primera. Avessi ancora fiato per pregare, reciterei il mea culpa… Entra QUICKLY Ancora tu! Da parte di chi vieni questa volta? |
QUICKLY - | Da tutte e due le parti, in verità. |
FALSTAFF - | Una parte, che se la porti il diavolo, l’altra, la sua versiera! Così saranno sistemate entrambe. Ho passato più guai a causa loro di quanti ne riesca a sopportare la miserevole fralezza umana! |
QUICKLY - | E non han forse sofferto anche loro per tutto quello che v’è capitato? Ah, questo ve lo posso garantire! E specialmente una, Alice Ford, povero cuore! Ne ha buscate tante, ch’è tutta un lividume nero e blu per il corpo, da non vedersi più la minima chiazzetta di biancore. |
FALSTAFF - | E a me vieni a parlar di nero e blu? A me, che sono stato bastonato fino a vedermi apparir per il corpo tutti i colori dell’arcobaleno? E c’è mancato poco, per fortuna, che non fossi scambiato lì per lì, per la strega di Brainfort e arrestato! Se non fossi riuscito, come ho fatto con la mia grande presenza di spirito, a contraffare i modi e l’andatura d’una vecchia, quel becero di sbirro m’avrebbe certamente messo in ceppi come una volgarissima megera. |
QUICKLY - | Signore, permettete ch’io vi parli da solo a solo nella vostra camera, e allora udrete per filo e per segno come stanno le cose in realtà; e son sicura, ve lo garantisco, che ne sarete lieto e soddisfatto. Già questo scritto vi dirà qualcosa. (Gli consegna un foglio) Poveri cuori! Ce ne vuol fatica a combinar di farvi stare insieme! Per esser contrastati a questo modo, c’è da pensar che uno di voi due non serva il Cielo come Dio comanda. |
FALSTAFF - | Va bene, vieni su nella mia camera. (Escono) |
SCENA VI - La stessa
Entrano l’OSTE e FENTON
OSTE - | Ah, non ditemi niente, mastro Fenton! N’ho già tante pel capo, che ho voglia di mandar tutto in malora! |
FENTON - | Eppure mi dovere dare ascolto. Se mi date una mano in questo affare, io, parola d’onor di galantuomo, vi regalo cento sterline d’oro: più di quanto possiate aver perduto col furto dei cavalli. |
OSTE - | Quand’è così, v’ascolto. Dite pure. Se non altro, sapete ch’io son uno che mantengo il segreto. Dite pure. |
FENTON - | V’ho dato già sentore, qualche volta, del mio tenero amore per Annetta, la figliola di mastro Giorgio Page, amore che pur ella mi ricambia per quel tanto che a lei è consentito di dimostrare e a me di vagheggiare. Ho testé ricevuto una sua lettera che certamente vi sbalordirà, perché la burla di cui vi si parla è così strettamente collegata con quanto avevo in mente di proporvi, che non si può parlare della prima, senza svelare l’altra. State attento. Al centro c’è quel grassone di Falstaff. Vi descrivo perciò, per grandi linee, l’intero meccanismo della burla. Questa notte, tra mezzanotte e l’una, alla quercia di Herne il Cacciatore, la mia Nannetta dovrà recitare la parte di regina delle fate… (la ragione è spiegata in questa lettera) e, così travestita, mentre intorno impazzerà gran tramestio di burle, il padre l’ha istruita di fuggire con quel mastro Stanghetta fino a Eton, e di sposarlo là immediatamente. Ed ella ha acconsentito. Ma sua madre è caparbiamente avversa a queste nozze e ben determinata, a maritar sua figlia al dottor Cajus; pertanto ha tutto fatto e predisposto perché sia questi a fuggire con lei, e, mentre l’attenzione dei presenti sarà distratta dalle molte burle, a condurla diritto alla parrocchia dove ad attenderli sarà un buon prete per celebrar lì stesso il matrimonio. A questo sotterfugio della madre ella, fingendo d’esser consenziente, ne ha dato anche promessa al dottore. Sicché le cose stanno ora così: il padre vuol ch’ella vesta di bianco e, sì vestita, quando lo Stanghetta penserà che sia giunto il buon momento, le andrà vicino, e presala per mano, le dirà di fuggire insieme a lui. La madre ha stabilito, dal suo canto, per farla riconoscer dal dottore, (dato che tutti saran travestiti, e porteranno maschere sul volto), che la sua Anna indossi un’ampia veste verde, con gale al vento intorno al capo, e che al momento giusto il dottor Cajus le dia un pizzicotto sulla mano, ed a questo segnale convenuto la giovane ha promesso di seguirlo. |
OSTE - | Ma la ragazza chi vuole ingannare, dico, la madre o il padre? |
FENTON - | L’una e l’altro, e fuggire con me, caro il mio Oste! A questo punto, quello che mi manca è che voi, Oste, facciate in maniera che il vicario si trovi pronto in chiesa, tra mezzanotte e l’una, per unir saldamente i nostri cuori con un legittimo rito nuziale. |
OSTE - | Bene, mettete a punto il vostro piano. Io vado dal vicario, ad impegnarlo. Voi pensate a condurre la ragazza; il celebrante non vi mancherà. |
FENTON - | Ve ne sarò eternamente grato. Ma voglio che di questa gratitudine fin d’ora abbiate un segno. |
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