Ecco, tenete.


(Gli dà una borsa di denaro)


(Escono)

 

ATTO QUINTO

 

 

SCENA I - La locanda delle “Giarrettiera”

 

Entrano FALSTAFF e QUICKLY

 

FALSTAFF -

Ti prego, basta adesso con le chiacchiere.

Va’ pure. Manterrò la mia parola.

Questa è la terza volta,

spero che il dispari mi porti bene.

Ma svelta!… Pare che i numeri dispari

abbian qualcosa di virtù divina

su nascita, fortuna e morte. Via!

QUICKLY -

Vedrò di procurarvi la catena,

e farò anche tutto il mio possibile

per procuravi quel paio di corna.

FALSTAFF -

Via via, che il tempo corre!…

Procedi, testa alta e cuor leggero!


(Esce Quickly)


Entra FORD travestito da Ruscello


Pensavo giusto a voi, mastro Ruscello.

Mastro Ruscello, la nostra faccenda

questa notte, o mai più!

Trovatevi, intorno a mezzanotte,

nel parco, presso la quercia di Herne,

e assisterete a delle meraviglie.

FORD -

Non siete andato più da lei, signore,

ieri, per quel convegno che diceste?

FALSTAFF -

Ci sono andato, sì, mastro Ruscello,

come vedete, da povero vecchio,

per dipartirmene, mastro Ruscello,

ahimè, come una povera vecchietta.

Perché ancora una volta suo marito,

quel furfante di Ford, aveva in corpo

il peggior diavolo di gelosia

ch’abbia mai posseduto un energumeno.

Vi dirò che m’ha pure bastonato,

e sodo, in quelle mie donnesche spoglie;

perché a me, come uomo, signor mio,

non fa paura nemmeno un Golia

che mi venisse avanti a mano armata

d’un subbio di telaio tessitore;

perché per me la vita

non è che una spoletta di telaio.

Ho fretta, adesso; venite con me;

vi racconterò tutto per la strada.

Dall’età che strappavo penne alle oche

e mi spassavo a marinar la scuola

e a far girare a frustate la trottola,

non ricordavo che volesse dire

una strigliata simile. Seguitemi.

Vi racconterò cose stravaganti

di questo Ford; del quale questa notte

vorrò pigliarmi un’allegra vendetta

consegnando la moglie in vostre mani.

Seguitemi, perciò, signor Ruscello.

Si preparano strani eventi. Andiamo.


(Escono)

 

 

 

SCENA II - Il parco di Windsor. Notte.

 

Entrano PAGE, ZUCCA e STANGHETTA

 

PAGE -

Avanti, avanti! al fosso del castello;

resteremo acquattati tutti là,

fin quando non appariran le luci

delle fiaccole delle nostre fate.

Stanghetta, ricordatevi, figliolo,

di riconoscere bene mia figlia.

STANGHETTA -

Non dubitate, ci siamo già intesi.

Ci siamo dati una parola d’ordine

per riconoscerci l’uno con l’altra.

Io vo da quella vestita di bianco

e dico: “Zitti”; lei risponde: “Baci”.

Ci riconosceremo in questo modo.

ZUCCA -

Questo va bene; ma a che cosa serve

che vi diciate questo “zitti” e “baci”?

Non basta il bianco a fartela distinguere?…

Son suonate le dieci.

PAGE -

Notte fonda.

Luci e folletti ci staranno bene.

Propizi il cielo questo nostro spasso.

Nessuno qui è male intenzionato,

all’infuori del diavolo; ma quello

lo riconosceremo dalle corna.

Su, venite con me.


(Escono)

 

 

 

SCENA III - Altra parte del parco di Windsor

 

Entrano ALICE, MEG e il dottor CAJUS

 

MEG -

Mastro dottore, allora siamo intesi:

mia figlia è quella in verde;

voi, quando sia giunto il buon momento,

la prenderete per mano, e alla svelta

con lei vi recherete alla parrocchia.

Vogliate ora precederci nel parco;

noi due dobbiamo venirci da sole.

CAJUS -

So bene quel che devo fare. Adieu.

MEG -

Dio v’assista, signore.


(Esce Falstaff)


Non s’allegrerà tanto mio marito

a vedere scornato sir John Falstaff,

quanto divamperà tutto di rabbia

ad apprendere che mia figlia Annetta

ha sposato il dottore… Ma che importa!

È meglio una sfuriata passeggera

che un crepacuore per tutta la vita!

ALICE -

Ma dove sono Annetta e le fatine?

E il diavolo gallese di don Ugo?

MEG -

Sono tutti acquattati in un fossato

poco distante dalla quercia d’Herne,

con le luci protette da uno schermo,

pronti a balzar di fuori nella notte

appena Falstaff ci si farà incontro.

ALICE -

Morirà di paura.

MEG -

E se non di paura, di vergogna,

con o senza paura scorbacciato.

ALICE -

Certo che questa nostra è slealtà

verso di lui, per quanto raffinata.

MEG -

Nessun rimorso: contro certi tipi

d’immondi libertini come lui,

l’inganno non vuol dire slealtà.

ALICE -

È quasi l’ora. Alla quercia, alla quercia!


(Escono)

 

 

 

SCENA IV - La stessa

 

Passano, traversando la scena, le fate con le torce accese protette da uno schermo; don Ugo EVANS travestito da diavolo, PISTOLA travestito da Puck; QUICKLY in bianco da regina delle fate; ANNETTA e GUGLIELMINO Page con altri giovinetti con vestiti rossi, verdi, neri, grigi e bianchi.

 

EVANS -

Svelte, svelte, fatine! Su, folletti!

Che ciascuno ricordi la sua parte,

e soprattutto nessuna paura.

Venite, nascondiamoci nel fosso,

e al mio segnale fate come ho detto.

Su, trottare, trottare!


(Escono, entrando nel bosco)

 

 

 

SCENA V - Il parco presso la quercia di Herne

 

Entra FALSTAFF travestito da Herne il Cacciatore,

con catena in mano e testa di cervo sul capo

 

FALSTAFF -

La campana di Windsor

ha battuto le dodici. È l’ora.

Ora tutti gli dèi dal caldo sangue

mi sian propizi. Tu sugli altri, Giove,

che per amore della bella Europa

ti tramutasti in bue, e fu l’amore

a farti mettere le corna in testa…

Non lo scordare… Oh, potenza d’amore,

che fai talvolta d’una bestia un uomo,

e tal’altra tramuti un uomo in bestia!

Perfino cigno, Giove, ti sei fatto,

per Leda… O, Amore onnipotente!

E c’è mancato poco che, per esso,

tu non ti tramutassi in una papera.

Doppio peccato il tuo: la prima volta

assumendo la forma d’un quadrupede

- quadrupedal peccato, Giove mio! -

e la seconda quella d’un volatile

(pensaci, Giove, un peccato volatile!).

S’hanno gli dèi così focosi lombi,

che posson fare i poveri mortali?

Eccomi qui, in questo parco di Windsor,

trasmutato in un cervo e, manco a dirlo,

il più grasso di tutta la foresta.

Stiepiscimi, Giove, questa foja,

o chi potrà altrimenti biasimarmi

se mi si strugge addosso tutto il grasso?

Ma chi viene?… Oh, ecco la mia damma.


Entrano, dal fondo, ALICE FORD e MEG PAGE

ALICE -

Caro sir John! Sei qui, mio bel cervone?

FALSTAFF -

La mia cerbiatta dalla coda nera?

Piova il cielo cantaridi,

tuoni sull’aria di “Maniche verdi”,

e grandini confetti profumati,

nevichi eringi, e venga una tempesta

di dolci tentazioni!

Io mi rifugio qui!


(L’abbraccia)

ALICE -

(Respingendolo dolcemente)

Anima mia!

C’è la signora Page insieme a me!

FALSTAFF -

E spartitemi allora fra voi due,

come un capretto cacciato di frodo,

una coscia a ciascuna.

Io mi tengo per me l’avantorace,

do il deretano al guardiano del parco,

e lascio eredi di queste mie corna

i vostri due mariti. Vi sta bene?

Non sono un uom di bosco?

Non parlo come Herne il Cacciatore?

Eh, stavolta Cupido

s’è condotto da bimbo coscienzioso:

finalmente mi dà soddisfazione!

Com’è vero che son cuore leale,

siate le benvenute!…


(Forti rumori all’interno)


Oh, Dio, che c’è?

Misericordia! Che fracasso è questo?

ALICE -

Ah, mi perdoni il cielo i miei peccati!

FALSTAFF -

Che vi succede?

ALICE/MEG -

Fuggiamo, fuggiamo!


(Fuggono via)

FALSTAFF -

Credo proprio che il diavolo

abbia deciso di tenermi immune

dal peccato, per tema che, dannandomi,

il grasso mio possa mandargli a fuoco

come un grande falò tutto l’inferno;

se no, quale motivo avrebbe avuto

d’ostacolarmi sempre in questo modo?


Entrano don Ugo EVANS, travestito come prima, PISTOLA travestito da Puck;(171) QUICKLY, ANNETTA PAGE e gli altri travestiti da fate e da folletti, con ceri e torce accese.

QUICKLY -

“Fatine nere, grigie, verdi e bianche,
“ombre notturne al lume della luna
“in coro tripudianti, orfane eredi
“d’immutevole sorte, ora ciascuna
“al proprio ufficio. Araldo spiritello,
“adesso a te di fare il loro appello”.

PISTOLA/PUCK -

“Elfi, l’appello vostro ora ascoltate.
“Voi gingilli dell’aria, ora tacete.
“Tu, Grillo, te ne andrai saltabeccando
“di Windsor sui camini, e se, spiando,
“troverai fuochi non inceneriti
“e focolai non sgombri né puliti,
“pizzica le massaie con gli spilli
“finché sian livide come mirtilli.
“Alla nostra regina delle fate
“non piacciono le genti trasandate”.

FALSTAFF -

Sono fate. Chi parla ad esse, muore.

Chiuderò gli occhi e starò qui accucciato;

occhio d’uomo non deve mai spiare

quel ch’esse fanno.


(Si stende a terra bocconi e si copre la faccia con le mani)

EVANS -

“Grano di Rosario,
“dov’è? Va’ per il mondo,
“e percorrilo tutto a girotondo,
“e là dove tu scorga una fanciulla
“addormentata come un bimbo in culla,
“dolcemente, perché tre volte pia
“le sue preghiere a Dio ha recitato,
“reca conforto alla sua fantasia
“con un sogno incantato.
“Ma quelle che si fossero addormite
“dei commessi peccati non contrite,
“pinzale tutte, gambe, spalle, bracci,
“schiena, fianchi, polpacci”.

QUICKLY -

“All’opra, all’opra, figli delle fate!
“Di Windsor il castello, elfi, frugate,
“all’interno, all’esterno, e seminate
“buona ventura in ogni penetrale,
“sì che fino al Giudizio universale
“esso rimanga in questo suo splendore
“degno del suo signore,
“e questi d’esso. Da voi irrorati
“di balsami e di fiori profumati
“rimangano negli anni
“dell’Ordine(172) gli illustri ed alti scanni,
“ogni scanno, ogni stemma, ogni elmo eletto
“da lealtà sia sempre benedetto.
“E voi, mie care fate prataiole,
“cantate in coro le vostre carole,
“intrecciando la vostra gaia schiera
“con i legacci della “Giarrettiera”;
“e sotto il vostro andar danzato cresca(173)
“più che in ogni altro prato erbetta fresca.”
“Scrivete: “Honny soit qui mal y pense[174]
“con ciuffi di smeraldi e fiorellini
“bianchi, rossi e turchini,
“come i zaffìri, le perle, i broccati
“che spiccan riccamente arabescati
“sui ginocchi ricurvi e gli schinieri
“di baldi cavalieri,
“ché i fiori son l’inchiostro delle fate.
“Ed ora disperdetevi, sciamate!
“Ma ricordi ciascuna
“non più tardi dello scoccar dell’una
“la danza da intrecciare con fervore
“sotto la quercia d’Herne il Cacciatore.”

EVANS -

“Su, per mano, in pell’ordine ed alterne,
“e siano mille lucciole/lanterne
“a cuidar sotto l’albero il concento
“della danza festosa…”

(Vede Falstaff accoccolato in terra)

Ma, un momento!…

“qui puzza d’uomo io sento.”

FALSTAFF -

(Tra sé)

Mi guardi il cielo dall’elfo gallese,

che non mi venga addosso

e mi muti in un pezzo di formaggio!

PISTOLA/PUCK -

(Avvicinandosi a Falstaff)

Verme maligno, fin dalla tua nascita

dal malocchio colpito!

QUICKLY -

Spiritelli,

sottoponetegli i polpastrelli

alla prova del fuoco: s’egli è casto,

la fiamma si ritrae e non lo tocca;

se trasale, vuol dir che la sua carne

è l’albergo d’un’anima corrotta.

PISTOLA/PUCK -

Alla prova! Alla prova!

EVANS -

Su, vediamo se questo vecchio legno

prende fuoco…


(Lo scottano con le torce)

FALSTAFF -

Ohi, ohi, ohi!

EVANS -

È corrotto!

Sozzo e corrotto da cattive brame!

Addosso, miei folletti, circondatelo,

intonategli un canto di dileggio

e, danzandogli intorno a piede alterno,

punzecchiatelo a tempo di balletto.


(Le fate e i folletti si dispongono intorno a Falstaff, disteso a terra, e cantando lo punzecchiano)

CANZONE

“Vergogna ai turpi ardori
“vergogna alla lussuria:
“solo sanguigna furia
“attizzata nei cuori
“da desideri impuri.
“Se vi soffia il pensiero
“le sue fiamme son vampe
“che salgon fino al cielo.
“Elfi, folletti, fate,
“a turno il pizzicate,
“pinzatelo, scottatelo,
“voltolatelo, fin che le fiammelle
“s’estinguan con la luna e con le stelle.”

(Durante il canto è entrato, da una parte, il dottor Cajus, che ha rapito una fatina vestita di verde; da un’altra parte Stanghetta, che ha rapito a sua volta una fatina vestita di bianco; poi Fenton, che ha rapito Annetta Page)


Al termine del canto si sentono echeggiare nelle vicinanze corni da caccia; a quel suono le fate e gli altri fuggono. FALSTAFF si alza, si toglie dal capo la testa di cervo e sta per andarsene, quando entrano PAGE, MEG PAGE e ALICE

FORD che lo afferrano e lo trattengono.

PAGE -

Eh, no, stavolta non ci scapperete!

V’abbiam colto sul fatto, cavaliere!

Non avevate proprio altro sistema

per correre la vostra cavallina

che vestirvi da Herne il Cacciatore?

MEG -

(Al marito)

Ti prego, via, non spingere la burla

più oltre di così… Caro sir John,

vi piaccion sempre le mogli di Windsor?

(Indicando le corna della testa di cervo che Falstaff ha in mano)

Vedi queste, marito?

Non ti sembra che queste belle corna

meglio s’addicano alla foresta

che non alla città?

FORD -

Beh, cavaliere, il cornuto chi è?

Mastro Ruscello, il cavalier Falstàff

è un furfante, un furfante con le corna,

e le sue corna eccole, sono qua;

ed ei di Ford non s’è goduto altro

che il cestone dei panni ed il bastone,

oltre ad una ventina di sterline

che dovrà rendere debitamente

a mastro Ford; a garanzia di che

i suoi cavalli son sotto sequestro.

ALICE -

La Fortuna, sir John, non ci fu amica.

Non siamo riusciti ad incontrarci

da soli a soli… Devo rinunciare

per sempre a prendervi per mio amante,

ma v’avrò sempre per un caro cervo.

FALSTAFF -

Mi comincio ad accorgere

che ho fatto la figura del somaro.

FORD -

Del somaro e del bue. Prove alla mano!

FALSTAFF -

Non sono dunque fate, tutte queste?

Tre - quattro volte m’è venuto in mente

che non dovevan esser vere fate;

ma il mio senso di colpa e la sorpresa

m’hanno bloccato i sensi e la ragione

e m’han fatto apparire realtà

quel ch’era sol grossolana finzione,

sicché a dispetto d’ogni senso logico

ho creduto che fosser fate vere.

Guardate un po’ come l’umano ingegno

si può smarrire quando è volto al male!


Rientra don Ugo EVANS non più mascherato

EVANS -

Sir John, badate a servire il Signore!

Allontanate le voglie perverse,

e le fate non più vi pungeranno.

FORD -

Ben detto, buon don Ugo delle Fate!

EVANS -

(A Ford)

Però anche foi dofete allontanare,

per favore, le vostre celosie.

FORD -

Ah, non sospetterò più di mia moglie

almeno fino al giorno in cui, don Ugo,

voi stesso riuscirete a corteggiarla

senza storpiare il nostro bell’inglese!

FALSTAFF -

Ho dunque esposto il mio cervello al sole

da farlo rinseccare

fino a non farci restare più niente,

per non aver saputo prevenire

una tal grossolana ciurmeria?

Mi son fatto menare per il naso

da un caprone gallese!

Dovrò dunque incalcarmi sulla testa

uno zucchetto di feltro a sonagli?

Ci manca solo ch’io resti strozzato

da un pezzo di formaggio abbrustolito!

EVANS -

Formaccio non è puono a fare purro!

E la fostra ventraia è tutto purro.

FALSTAFF -

(Rifacendogli il verso)

Formaccio e purro, e sì, eh!…

Sicché sarei vissuto fino ad oggi

per esser preso a gabbo da qualcuno

che fa frittelle della nostra lingua!

Ce n’è abbastanza per l’umiliazione

di tutti i libertini ed i nottambuli

che vanno in giro per il nostro regno.

MEG -

Ma davvero, sir John,

voi avete pensato che noi due,

quando ci fossimo ancora decise

in un momento di spensieratezza,

a cacciar via dal cuore l’onestà

e, gettato dall’animo ogni scrupolo,

ad aprirci le porte dell’inferno,

che proprio voi avesse destinato

il diavolo a sopir le nostre voglie??

FORD -

Che! Un polpettone simile?

Una saccoccia ripiena di stoppa?

MEG -

… Uno che par gonfiato con il mantice?

PAGE -

… Barbogio, infreddolito, raggrinzito

con tanto di schifoso budellame?

FORD -

… E che bestemmia più d’un satanasso?

PAGE -

… Più squattrinato e povero di Giobbe?

FORD -

… E più perverso della sua versiera?

EVANS -

… E dedito al peccato della carne,

alla taverna, al vino, all’idromele

e ad ogni sorta d’altri beveraggi,

al turpiloquio ed alle smargiassate,

a schiamazzi, litigi e chiacchiericci?

FALSTAFF -

Tutti contro di me, come un bersaglio!…

Siete in vantaggio, sono sopraffatto,

tanto da non saper più che rispondere

a codesta flanella di Gallese… L’ignoranza

mi fa da contrappeso e mi disarma;

fate pure di me quel che vi pare.

FORD -

Perbacco, signor mio, se lo faremo!

Vi condurremo a Windsor,

al cospetto di un tal mastro Ruscello,

al quale avete scroccato denaro

come compenso del fargli da pandaro;

e son convinto che di tutti i guai

che vi son capitati fino qui,

dover restituire quei quattrini

sarà per voi una pena mordente.

PAGE -

Tuttavia, cavaliere, stammi allegro!

Questa sera verrai a casa mia

a bere insieme qualcosa di caldo;

e potrai anche farti due risate

sul conto di mia moglie,

com’ella se ne fa ora sul tuo,

annunciandole che mastro Stanghetta

ha sposato sua figlia.

MEG -

(Tra sé)

Qualcuno ne potrebbe dubitare…

Se Anna è figlia mia,

a quest’ora è già sposa al dottor Cajus.


Entra STANGHETTA

STANGHETTA -

Uhi, uhi, uhi, papà Page!

PAGE -

Che c’è, figliolo? Avete fatto tutto?

STANGHETTA -

Altro che fatto! Questo è un tale imbroglio,

che il più gran genio di questa contea,

m’impiccassero, non ci capirebbe!

PAGE -

Capirebbe, figliolo? Ma che cosa!

STANGHETTA -

Arrivo a Eton per sposare Annetta,

e mi trovo per mano, in vece sua,

un salamone grasso e grosso tanto…

che non fossimo stati in una chiesa

l’avrei gonfiato, giuro, di cazzotti…

o lui avrebbe cazzottato me.

Dio non mi faccia muovere più un passo,

se non credetti che quello era Annetta;

e invece era un volgare postiglione!

PAGE -

Oh, santo Dio! Com’è? Ti sei sbagliato?

STANGHETTA -

Che domanda! Lo credo bene, sì,

se ho preso un uomo per una ragazza!

E se, mettiamo, l’avessi sposato,

malgrado fosse vestito da donna,

di certo non me lo sarei tenuto…

PAGE -

Tutta colpa della tua sbadataggine!

Te l’avevo spiegato tanto bene,

che mia figlia potevi riconoscerla

dal color della veste.

STANGHETTA -

Quella bianca!

E verso quella bianca sono andato:

ho detto: “Zitti”, e quello ha detto: “Baci”,

come eravamo intesi Annetta ed io.

E invece quella non era l’Annetta,

ma un uomo, un ragazzotto, un postiglione.

MEG -

Giorgio caro, non t’arrabbiare adesso:

io conoscevo il tuo intendimento,

e invece che di bianco, nostra figlia

l’ho vestita di verde, ed a quest’ora

si trova certamente alla parrocchia

col dottor Cajus, e l’avrà sposato.


Entra il dottor CAJUS

CAJUS -

Madama Page!… Dov’è madama Page?

Parbleu, stavolta me l’avete fatta!

Ho sposato un garçon, un giovinetto!

Un paysan, parbleu! un contadino!

Dico un ragazzo, invece di Anna Page!

Eh, sì, parbleu, sono stato truffato!

MEG -

Che! Non prendeste con voi quella verde?

CAJUS -

La presi, sì, solo ch’era un ragazzo!

Giuro che butto all’aria tutta Windsor!


(Esce precipitosamente)

FORD -

Strabiliante!… Ma allora Annetta Page,

quella vera, chi l’ha portata via?

PAGE -

Il cuor mi dice male… mastro Fenton…

Eccolo, infatti.


Entrano FENTON e ANNETTA, abbracciati


Ebbene, mastro Fenton!

ANNETTA -

Perdono, padre mio! Perdono, madre!

PAGE -

Madamigella, ebbene, come mai

non sei andata con mastro Stanghetta?

MEG -

Rispondi a me: come mai, ragazzina,

non sei andata con il dottor Cajus?

FENTON -

Non state a tormentarla.

Vi dirò tutto io per filo e segno.

Voi avreste voluto maritarla

in un modo quant’altri mai perverso,

dove l’amore non aveva parte.

Vero è che noi da tempo

ci eravamo promessi l’uno all’altra,

ed ora siamo stretti da un legame

per cui più nulla potrà separarci.

Benedetta è la sua disobbedienza

di figlia; questo inganno non è frode,

non è rivolta, non è irriverenza,

dal momento che sol per questa via

ella avrebbe potuto risparmiarsi

le mille e mille ore empie e dannate

che un matrimonio fatto con la forza

le avrebbe rovesciato sulle spalle.

FORD -

(A Meg e Page)

Non state lì di sasso, sbigottiti!

Non c’è rimedio: gli affari d’amore

li governa direttamente il cielo.

Coi danari si comprano i terreni,

ma le mogli le vende solo il Fato.

Convien perciò accettare con amore

quello che non può esser evitato.

FALSTAFF -

Quel che dite mi allegra.

Eravate appostato espressamente

per colpirmi; la vostra freccia, vedo,

ha deviato altrove.

PAGE -

Del resto, come riparare, Fenton?

Voglia il cielo concederti, oramai,

gioia e salute. Accettiam con amore

quello che non può essere evitato.

FALSTAFF -

(A parte)

Già, quando i cani cacciano la notte

ogni specie di selvaggina è buona!

MEG -

Bah, neppur io convien che più mi lagni.

Fenton, ti mandi il cielo

molti giorni felici!… Ora, marito,

torniamo a casa, noi, sir John e tutti,

a ridere di questi nostri scherzi

davanti ad un bel fuoco di campagna.

FORD -

E sia. Sir John, sapete che vi dico,

che finirà che voi, malgrado tutto,

avrete mantenuto la parola:

mastro Ruscello passerà la notte

con la moglie di Ford, madama Alice!

 

FINE

 

(1) I nomi di questi due personaggi, come spesso in Shakespeare, sono due aggettivi di qualità, coniati ad indicare una qualche caratteristica del personaggio stesso: il primo è “Shallow”, che vuol dire “non profondo” nel senso di “vacuo”, “testa vuota” ( “shallow-brained” è sinonimo di “Imbecille”); l’altro è “Slender”, che vuol dire “sottile”, “magro”, “allampanato” e, figurativamente, “inconsistente”. Il nome italiano del primo, Zucca, è ripreso dalla seconda parte dell’“Enrico IV”, dove il personaggio ha una parte piuttosto cospicua e dove Shakespeare mette al suo fianco un altro personaggio comico, il cugino “Silence”, “Silenzio”.

(2) Il testo ha “Sir”: gli Inglesi danno del “sir” ai preti, come noi del “don”.

 

(3)I will make a Star Chamber of it”: “Farò di ciò una questione da Camera Stellata”. Si chiamava “Camera Stellata” (“Star Chamber”) la sala del palazzo reale di Westminster dove sedeva il Consiglio della Corona in funzione di tribunale penale, che da quella camera prendeva il nome.

 

(4)Robert Shallow, esquire”: “esquire” era il titolo onorifico che precedeva, nella gerarchia araldica, quello di “knight”, “cavaliere”; esso spettava di diritto ad alcuni funzionari di nomina regia tra cui i giudici di pace.

 

(5) Questo “coram” come il successivo “rotulorum” sono corruzioni e contrazioni maccheroniche del linguaggio curialesco: “coram” è corruzione del “quorum” della formula “quorum unum vos esse volumus”, “dei quali noi vogliamo che voi siate uno” con la quale il sovrano nominava i suoi dignitari; “costalorum” è corruzione di “custos rotulorum”, “custode dei rotuli”, come si chiamavano i preposti alla giustizia (“rotula” erano, nel tardo latino, i cartigli contenenti i testi delle leggi); “rotulorum” è ripetizione pappagallesca della stessa parola.

 

(6) Si legga “Glo-ster” per la metrica.

 

(7) Così nel testo. Il termine inglese “armiger” è ognuno che abbia il diritto di fregiarsi di uno stemma nobiliare (“coat of arms”).

 

(8) È il primo tocco della imbecillità di questo personaggio.

 

(9)It agrees well, passant”: “passante” in araldica si dice dell’animale che figura sullo stemma volto a destra e con una delle zampe anteriori alzate nell’atto di “grattare” qualche cosa.

 

(10) Queste battute dei tre sono in inglese una filza di doppi sensi che dovevano esilarare il pubblico ma che è impossibile rendere. Stanghetta ha detto: “… e possono esibir sul loro stemma / dodici lucci bianchi” (“dozen white luces”); Evans intende “luces” per “louses”, “cimici”, e dice che le cimici su un vecchio stemma ci stanno bene (“it agrees well”), meglio se “passanti”. Per conservare alla meglio il bisticcio s’è tradotto “louses” con “pulci” e sfruttato l’assonanza con “lucci”. Zucca, a sua volta, ribattendo il frizzo, gioca sul termine “coat”, “stemma”, che Evans, essendo gallese, ha pronunciato “cod”, che vuol dire “sottana”, “tonaca”, e dice che, al contrario del luccio, la “cod” è un “salt fish”, una salacca, un baccalà. Al pubblico londinese piaceva ironizzare sul dialetto gallese, e Shakespeare gliene dà buon motivo, creando personaggi che lo parlano, come la lady Mortimer della seconda parte dell’“Enrico IV” e il capitano Fuellen dell’“Enrico V”. In questo stemma con lucci ridicolizzato da Shakespeare i critici hanno creduto di vedere l’allusione ad un episodio della vita del poeta: è leggenda - perché non provata da alcun documento - che egli in gioventù, quando era ancora nella sua Stratford, avrebbe avuto a che fare con un Sir Thomas Lucy di Charlecote per aver cacciato di frodo nel parco di questi ed avergli ucciso un daino; per sfuggire alle conseguenze giudiziarie della denuncia di questo signore il giovane Shakespeare sarebbe scappato a Londra. Zucca ce l’ha appunto con Falstaff, e vuol querelarlo “davanti la Camera Stellata” perché questi - come dirà più sotto - gli ha ucciso un cervo e forzato l’ingresso del padiglione del parco. La leggenda, cui sembrò credere il Rowe, che la riferì per primo (1700), e tra gli altri, più tardi, il Simmons nella prefazione alla sua edizione shakespeariana del 1825, non ha fondamento storico, essendo stato assodato che all’epoca non esisteva a Charlecote un parco con daini, la famiglia Lucy essendosi là trasferita assai dopo (così l’Alexander nella introduzione alla sua edizione da noi adottata come testo per la traduzione, pag. XII).

 

(11) Altro bisticcio di doppi sensi: Zucca risponde a Stanghetta il quale gli ha detto che può aggiungere allo stemma di famiglia il suo “quarto” di nobiltà: “Sì, lo puoi, sposandoti” (“You may, by marrying”); Evans intende “marrying” per “marring”, e poiché pensa a “coat” non come a “stemma” ma come a “vestito”, che è l’altro significato della parola, risponde che “togliere a uno un quarto di vestito (squartare) è spogliarlo”.

(12) Ossia: attento a non fare passi falsi. Per dire “precauzioni” (“devisaments”) don Evans dice “vizaments”: “Take your vizaments in that”.