Si sarebbe potuto udire cadere una spilla… una spilla? una piuma, quand'egli descrisse le crudeltà che s'infliggevano dai padroni ai ragazzi rivenditori di panini, cosa, come egli molto saggiamente arguiva, che in sè e per sè era una ragione sufficiente per l'impianto di quella impareggiabile Compagnia. Sembrava che gli infelici adolescenti rivenditori di biscotti fossero la notte nelle più inclementi stagioni dell'anno, cacciati all'aperto a vagare nel buio e nella pioggia, – e perfino sotto la grandine o sotto la neve – per ore e ore di fila, senza tetto, senza cibo, senza fuoco. Il pubblico non doveva mai dimenticare quest'ultimo punto, che, mentre i panini erano mandati in giro coperti e tenuti al caldo, i ragazzi erano assolutamente esposti alle intemperie e abbandonati a se stessi. (Vergogna!). L'oratore riferì il caso d'un piccolo rivenditore di panini caldi, che, esposto a questo barbaro e disumano trattamento per non meno di cinque anni, era caduto finalmente vittima di un raffreddore di testa, dal quale non s'era riavuto che molto lentamente con una forte sudata. Era questo un fatto che poteva personalmente testimoniare, ma aveva appreso (e non aveva alcuna ragione di dubitarne) un caso ancora più straziante e terribile: quello d'un orfanello, rivenditore di panini caldi, che, travolto da una vettura di piazza, era stato portato all'ospedale e assoggettato all'amputazione d'una gamba sotto il ginocchio, per quindi riprendere il suo vecchio mestiere sulle grucce. Fonte della suprema giustizia, si poteva reggere a una simile barbarie?

Questo fu il lato della discussione che interessò l'assemblea, e questo fu lo stile oratorio che ne sveglio le simpatie. Gli uomini gridavano, le donne piangevano inzuppando i fazzoletti, e sventolandoli finché non s'asciugavano; la commozione era al colmo, e il signor Nickleby bisbigliò all'amico che le azioni avrebbero da quel momento raggiunto un plusvalore del venticinque per cento.

L'ordine del giorno fu naturalmente approvato con alte acclamazioni: ciascuno alzò tutte e due le mani nella votazione, e se fosse stato possibile, avrebbe alzato anche le gambe. Quindi fu letta finalmente la minuta della petizione proposta; e la petizione diceva, come dicono tutte le petizioni, che i petenti erano umilissimi e le persone alle quali la petizione era rivolta onorevolissime, e lo scopo virtuosissimo: perciò (diceva la petizione) la proposta di legge doveva essere subito approvata, ad eterno onore e gloria degli onorevolissimi e gloriosissimi Comuni d'Inghilterra riuniti in Parlamento.

Poi il deputato, che era stato tutta la notte da Crockford, e aveva perciò gli occhi imbabolati, si fece innanzi per dire ai suoi concittadini il discorso che avrebbe fatto in favore della petizione in Parlamento e di quali invettive lo avrebbe oppresso se avesse respinto la proposta di legge; e per dire inoltre che egli deplorava che i suoi onorevoli amici non avessero inserito una clausola per rendere obbligatorio l'acquisto dei panini e dei biscotti per tutte le classi della comunità, clausola che lui, – contrario com'era a tutte le mezze misure e partigiano dei provvedimenti radicali – s'impegnava di proporre e far votare nella commissione. Dopo aver annunciato questa sua determinazione, l'onorevole oratore si fece scherzoso; e poichè la menzione delle scarpe brevettate e dei guanti di capretto color limone e dei baveri di pelliccia giova materialmente allo scherzo, vi furono molti scoppi di risa e degli evviva e tale uno splendido spiegamento di fazzoletti femminili che il grave oratore precedente cadde immediatamente nell'ombra e nell'oblio.

E dopo che la petizione, già letta, era sul punto d'esser approvata, si fece innanzi il deputato irlandese (che era un giovane di carattere bollente) con un discorso di tal sorta quale solo un deputato irlandese poteva fare: col respiro, cioè della vera anima e dello spirito della poesia e in tono così ardente, che si sentiva caldo soltanto a guardar l'oratore, il quale aggiunse che si proponeva di domandare l'estensione di quel gran beneficio alla sua isola nativa, ch'egli avrebbe reclamato per essa l'eguaglianza nella legge dei panini caldi come in tutte le altre leggi, e che sperava di vedere un giorno i biscotti infornati nelle umili capanne d'Irlanda e i campanelli dei venditori dei panini caldi squillare nelle ricche e verdi vallate d'Irlanda.

E dopo di lui parlò il deputato scozzese, con varie divertenti allusioni alla probabile somma dei profitti, aumentando il buon umore destato dalla poesia; e tutti i discorsi messi insieme fecero esattamente ciò che si voleva facessero: infondere agli auditori la persuasione che non v'era stata mai una speculazione più promettente e nello stesso tempo più degna di lode di quella della Compagnia metropolitana per la pronta consegna a domicilio dei panini caldi e dei biscotti perfezionati.

Così, la petizione in favore della proposta di legge fu approvata, e l'assemblea aggiornata con acclamazioni, e il signor Nickleby e gli altri membri del comitato si recarono a far colazione nell'ufficio, come facevano all'una e mezzo d'ogni giorno; e per compensarsi di questo fastidio, giacchè la Compagnia era ancora bambina, le addossarono soltanto tre ghinee ciascuno per il gettone di presenza.

Capitolo 3

Il signor Rodolfo Nickleby riceve tristi nuove di suo fratello, ma si comporta nobilmente di fronte alla notizia che gli viene comunicata. Il lettore è informato della sua simpatia per Nicola, ch'è qui presentato, e della sua bontà nel proporgli di fargli acciuffare subito la fortuna.

Dopo aver con gran zelo aiutato a spacciar la colazione, con tutta quella prontezza ed energia che sono fra le più importanti qualità degli uomini d'affari, il signor Rodolfo Nickleby diede un addio cordiale ai compagni delle sue intraprese finanziarie, e volse i passi verso ponente con insolito buon umore.

Passando per San Paolo si trasse da parte in un portone per regolare l'orologio, e stava intento con la mano sulla chiavetta e gli occhi sul quadrante della cattedrale, quando a un tratto una persona gli si fermò di fronte. Era Newman Noggs.

– Oh! Newman, – disse il signor Nickleby, levando gli occhi, mentre continuava a tenere la chiavetta dell'orologio. – È venuta la lettera su quell'ipoteca? Immaginavo che sarebbe finalmente venuta.

– Errore – rispose Newman.

– Come, e nessuno è venuto a dir nulla? – chiese il signor Nickleby, interrompendosi. Noggs scosse il capo. – Chi è venuto, allora? – domandò il signor Nickleby.

– Son venuto io, – rispose Newman.

– Che altro? – domandò il padrone, grave.

– Questa, – disse Newman, cavando lentamente di tasca una lettera suggellata. – Timbro dello Strand, ceralacca nera, lista di lutto, scrittura femminile, C. N. nell'angolo.

– Ceralacca nera? – disse il signor Nickleby, dando un'occhiata alla lettera. – Mi par anche di conoscere un po' questa scrittura. Newman, non mi meraviglierei se mio fratello fosse morto.

– Non vi meravigliereste, lo credo, – disse tranquillamente Newman.

– Perché poi? – domandò il signor Nickleby.

– Non vi meravigliate mai, – rispose Newman, – ecco tutto.

Il signor Nickleby strappò la lettera di mano al suo aiutante, la lesse, se la mise in tasca; e avendo poi fatto girare la lancetta sul minuto esatto, cominciò a caricare l'orologio.

– Appunto quello che m'aspettavo, Newman – disse il signor Nickleby, mentre era così occupato. – È morto. Povero me! Bene, così all'improvviso! Veramente non me lo sarei immaginato. – Con queste commoventi espressioni d'ambascia, il signor Nickleby si cacciò l'orologio nel taschino della cintura, e, infilandosi accuratamente i guanti, si rimise pian piano in cammino verso ponente con le mani dietro al dorso.

– Dei figli viventi? – chiese Noggs, misurando il passo sul passo di lui.

– Ebbene, si tratta di questo, – rispose il signor Nickleby, come se i suoi pensieri fossero in quell'istante concentrati su quel soggetto. – Sono entrambi viventi!

– Entrambi! – ripetè Newman Noggs, sottovoce.

– E anche la vedova, – soggiunse il signor Nickleby, – e tutti e tre a Londra, che Iddio li maledica; tutti e tre qui, Newman.

Newman si trasse un po' dietro il padrone, e contorse stranamente la faccia come per uno spasimo; ma se per un attacco di paralisi, o per dolore, o per uno scoppio di una risata interna, nessuno tranne che lui avrebbe potuto spiegare. L'espressione del viso d'un uomo è in generale un'integrazione dei suoi pensieri, o un glossario del suo linguaggio; ma l'aspetto di Newman Noggs, nel suo contegno ordinario, era un enigma che nessuno sforzo di abilità avrebbe potuto risolvere.

– Va a casa! – disse il signor Nickleby, dopo aver fatto un po' di passi, guardando il suo impiegato come se fosse un cane. Le parole furono appena pronunciate che Newman si slanciò a traverso la strada, s'insinuò tra la folla e scomparve in un istante.

– Logico, certo! – mormorò Nickleby, mentre andava, – molto ragionevole! Mio fratello non ha fatto mai nulla per me, e io non mi sono aspettato mai nulla da lui; ma non ha finito d'esalare l'ultimo respiro che io debbo considerarmi il sostegno d'una donna che può sostenersi bene da sè e d'un giovane e d'una ragazza che da tempo non hanno bisogno dell'appoggio di nessuno. Che cosa sono per me essi? Io non li ho visti mai!

Pieno di queste e di molte altre riflessioni della stessa risma, il signor Nickleby percorse buona parte della sua via verso lo Strand, e, guardando di nuovo la lettera, per accertarsi del numero della casa che cercava, si fermò innanzi a un portone a metà circa di quella contrada popolosa.

Ci abitava qualche artista che dipingeva miniature, perché sulla porta c'era avvitata una gran cornice dorata, nella quale erano spiegati, su un fondo di velluto nero, due ritratti di giubbe marine con le facce che ne emergevano e dei telescopi: l'una d'un giovane in uniforme scarlatta, che agitava una sciabola, e l'altra, di natura letteraria, con la fronte altissima, una penna, l'inchiostro, sei libri e una cortina. C'era inoltre, una commovente rappresentazione d'una signorina che leggeva un manoscritto in una foresta impenetrabile, e, in tutta la sua bella lunghezza, un ragazzino dalla testa giù che sedeva su uno sgabello e aveva le gambe raccorciate fino alla dimensione di due cucchiaini da saliera. Oltre questi lavori artistici, c'erano molte teste di vecchie e di vecchi che si sorridevano a vicenda fuor dei cieli azzurri e grigi, e un cartellino coi prezzi, elegantemente scritto, dall'orlo sbalzato.

Il signor Nickleby diede un'occhiata a quelle frivolezze con gran disprezzo, e picchiò un duplice colpo, al quale fu risposto, dopo una triplice ripetizione, da una giovane fantesca, col viso straordinariamente sudicio.

– Ragazza, c'è in casa la signora Nickleby? – domandò vivamente Rodolfo.

– Non si chiama Nickleby, – disse la ragazza. – La Creevy, volete dire.

Il signor Nickleby fissò indignatissimo la fantesca che lo correggeva così, e domandò con asprezza che cosa intendesse; e quella stava per dirglielo, quando una voce femminile che discendeva da una scala perpendicolare in fondo al corridoio, chiese chi si cercasse.

– La signora Nickleby, – disse Rodolfo.

– Al secondo piano, Anna, – disse la stessa voce; – che stupida che sei! C'è o non c'è il secondo piano in casa?

– Qualcuno è uscito in questo momento, ma credo che sia stata la soffitta ad andarsene – rispose la ragazza.

– Avresti fatto bene a vedere, – disse la donna invisibile.