Volare è un’impresa e mantenere l’altitudine non è facile, ma ne vale la pena. La catena è compatta, quindi non riusciamo a vedere oltre. Molte cime superano l’Himalaya e sono davvero strane. Nel complesso sembra che siano fatte di ardesia pre-cambrica con evidenti segni di altri strati sopravvenuti per sollevamento. Mi sbagliavo per quanto riguarda il vulcanismo. Le montagne si stendono a perdita d’occhio, e al disopra degli ottomila metri non sono più coperte di neve. Sulle più alte osserviamo strane formazioni: grandi blocchi squadrati e bassi, con i lati perfettamente verticali e file rettangolari di modesti bastioni, come gli antichi castelli asiatici arroccati sulle montagne nei quadri di Roerich. Fanno un certo effetto, in distanza. Ci siamo avvicinati in volo ad alcuni di essi: Carroll pensa che fossero costituiti da pezzi separati e più piccoli, ma questa probabilmente è opera delle intemperie. Gli angoli sono perlopiù sbriciolati o arrotondati, come se fossero stati esposti a tempeste e cambiamenti di clima per milioni di anni. Alcune parti, specialmente quelle superiori, sembrano di roccia più chiara che qualsiasi strato visibile sui fianchi delle montagne, per cui sono evidentemente di origine cristallina. Volando a distanza ravvicinata scorgiamo l’ingresso di parecchie caverne, alcune singolarmente regolari e di forma quadrata o semicircolare. Dovete raggiungerci e indagare. Mi pare di aver visto un bastione sulla vetta di una montagna: altezza da nove a diecimila metri. Io mi trovo a circa ottomila metri, in un freddo bestiale. Il vento fischia e soffia nei passi e dalle bocche delle caverne, ma fino a questo momento non c’è pericolo per il volo.”

Da quel momento, e per un’altra mezz’ora, Lake ci tenne sotto un fuoco di fila di osservazioni e manifestò la volontà di scalare personalmente alcune delle montagne. Risposi che lo avrei raggiunto appena mi avesse mandato un aereo, e che con Pabodie avrei cercato di risolvere il problema rifornimenti nel modo migliore; infatti, vista la nuova piega della spedizione, si trattava di decidere dove e come concentrare le nostre risorse.

Ovviamente le operazioni di scavo condotte da Lake, insieme alle attività aeree del gruppo, avrebbero richiesto una gran quantità di rifornimenti per il nuovo accampamento che stava per essere fondato ai piedi delle montagne; era possibile che la missione a est non si potesse compiere nell’arco di questa stagione. Proprio in relazione a questo fatto chiamai il comandante Douglas e gli chiesi di scaricare dalle navi tutto il possibile e di mandarlo alla base sulla barriera di ghiaccio con l’unica muta di cani che gli avevamo lasciato. Si trattava di stabilire una rotta diretta fra la regione sconosciuta in cui si trovava Lake e lo stretto di McMurdo.

Più tardi Lake mi chiamò per dire che aveva deciso di stabilire l’accampamento dove l’aereo di Moulton era stato costretto ad atterrare, e dove le riparazioni erano già cominciate. Lo strato di ghiaccio era molto sottile e sotto di esso si vedeva ogni tanto la terra scura; Lake avrebbe tentato i primi scavi in quella zona, e solo in un secondo momento avrebbe tentato spedizioni in slitta o scalate. Ci parlò dell’ineffabile grandiosità della scena e delle straordinarie sensazioni che provava nel trovarsi all’ombra delle enormi vette silenziose che formavano una sorta di barriera alta fino al cielo, il confine del mondo. Le osservazioni di Atwood con il teodolite avevano stabilito che l’altezza delle cinque vette più alte andava da nove a diecimila metri; la natura ventosa della regione turbava Lake, perché lasciava presagire la possibilità di tempeste più feroci di quelle che avevamo finora incontrato. L’accampamento si trovava a circa otto chilometri dal punto in cui s’innalzavano i primi contrafforti montuosi. Quando, da una distanza di oltre mille chilometri, Lake ci comunicò attraverso il vuoto che sperava ci affrettassimo e lo raggiungessimo al più presto, mi sembrò di scorgere una nota d’allarme nelle sue parole. Dopo una giornata di lavoro continuo, strenue fatiche e grandi risultati, finalmente si accingeva a riposare.

La mattina dopo instaurai un triplo collegamento con Lake e il comandante Douglas nelle rispettive basi; stabilimmo che un aereo sarebbe venuto a prendere Pabodie, me e i cinque uomini, più tutto il carburante che sarebbe riuscito a trasportare. Quanto a ulteriori rifornimenti, poiché tutto dipendeva dalla successiva spedizione a est, decidemmo che potevano aspettare qualche giorno: per il momento Lake aveva quanto gli serviva per il riscaldamento del campo e le trivellazioni iniziali. Alla fine avremmo dovuto rifornire la vecchia base a sud, ma se avessimo rimandato la spedizione a est non ce ne saremmo serviti prima della prossima estate e nel frattempo Lake avrebbe inviato un aereo in ricognizione per studiare una rotta diretta fra le montagne appena scoperte e lo stretto di McMurdo.

Pabodie e io ci preparammo a chiudere la base per un periodo più o meno lungo: se avessimo deciso di svernare nell’Antartide saremmo tornati direttamente dal campo di Lake all’ Arkham senza passare da quel punto; avevamo già rinforzato una parte delle tende coniche con blocchi di neve dura, e ora decidemmo di completare la costruzione di un villaggio esquimese permanente. Grazie al gran numero di tende che avevamo portato, Lake disponeva già di tutto quello che sarebbe servito anche dopo il nostro arrivo. Gli comunicai che Pabodie ed io saremmo stati pronti a compiere il viaggio dopo un giorno di lavoro e una notte di riposo.

Dopo le quattro del pomeriggio, tuttavia, la nostra attività non fu regolare, perché verso quell’ora Lake cominciò a inviare i messaggi più straordinari e concitati. La sua giornata di lavoro non era cominciata sotto buoni auspici, perché una ricognizione aerea delle superfici rocciose più vicine aveva rivelato un’assenza totale degli strati arcaici e primordiali di cui era alla ricerca, e che formavano gran parte delle vette colossali che incombevano in lontananza.