La Arkham deve mettersi immediatamente in contatto con la stazione di Kingsport Head. Lo straordinario essere a forma di barile è lo stesso che ha lasciato le impronte nell’ardesia. Mills, Boudreau e Fowler ne hanno scoperti tredici esemplari in un punto sotterraneo a una quindicina di metri dall’imboccatura della caverna. In loro compagnia sono stati rinvenuti altri frammenti di steatite, più piccoli del primo ma ugualmente lisci e di foggia particolare; anche questi sono a forma di stella, ma non mostrano segni di rottura salvo che all’estremità di qualche punta. Quanto agli esemplari organici, otto sembrano perfetti e muniti di tutte le appendici. Li abbiamo portati in superficie, tenendo a distanza i cani che non riescono a sopportarli. Prestate la massima attenzione alla descrizione che ne faremo e ripetetela per evitare errori.
“Gli oggetti sono alti più di due metri e mezzo, con un diametro al centro di un metro e novanta e alle estremità di circa trentacinque centimetri.
Di colore grigio scuro, sono flessibili ma durissimi; ali membranose dello stesso colore, con un’apertura di circa due metri, si dipartono dai solchi fra le escrescenze del corpo e al momento della scoperta erano ripiegate. La struttura che le sostiene è tubolare, forse ghiandolare, di un grigio appena più chiaro, con orifizi alle estremità delle ali. Una volta spiegate le ali rivelano un bordo dentellato. Intorno al centro del corpo, all’apice di ciascuna escrescenza verticale simile a doghe, si trovano altrettanti gruppi di membra flessibili o di tentacoli grigio-chiari, che al momento della scoperta erano avvolti intorno al torso ma che si estendono fino a un massimo di un metro: somigliano alle membra dei crinoidi primitivi. Ogni appendice, del diametro di circa sette centimetri e mezzo, a un’altezza di circa quindici centimetri si divide in cinque sub-appendici, ognuna delle quali a sua volta si divide, all’altezza di circa venti centimetri, in cinque piccoli tentacoli o peduncoli affusolati, in modo che ogni appendice conta infine venticinque tentacoli.
“Il torso è sormontato da un collo quasi sferico, di colore grigio chiaro, munito di quelle che sembrano branchie e destinato a sostenere una testa giallastra, a cinque punte, che ricorda una stella marina; questa estremità è coperta di ciglia sottili, lunghe intorno ai sette centimetri, che brillano di vari colori. La testa, grossa e gonfia, misura circa settanta centimetri da punta a punta, con piccoli tubi gialli e flessibili che fuoriescono per circa sette centimetri e mezzo da ogni punta. Al centro esatto dell’estremità superiore appare un’apertura che serve, probabilmente, a respirare. In fondo ad ogni tubo flessibile si nota un’espansione sferica la cui membrana gialla si stacca al tatto e rivela un globo vitreo, dall’iride rossa: evidentemente un occhio. Cinque tubi più lunghi, di colore rossastro, partono dagli angoli interni della testa a forma di stella marina e terminano in piccoli rigonfiamenti simili a sacche dello stesso colore; se si esercita pressione e possibile provocarne l’apertura, rivelando orifizi a forma di campana che raggiungono un diametro massimo di cinque centimetri e sono ornati da protuberanze bianche e acuminate, simili a denti. Si tratta, probabilmente, di bocche. Al momento della scoperta tubi, ciglia e punte della testa erano rigidamente ripiegati verso il basso; le punte e le escrescenze tubolari sembravano avviluppare al collo semisferico e al torso. Nonostante l’estrema durezza, la loro flessibilità si è rivelata sorprendente.
«In fondo al torso esiste un’organizzazione simile a quella della testa, ma funzionante in base a principi diversi. Osserviamo innanzitutto la controparte del collo, anche qui semisferico e grigio chiaro, ma senza branchie; ad esso è collegata un’estremità a cinque punte, come una stella marina di colore verdognolo. Le membra inferiori sono dure e forti, lunghe circa un metro e quaranta e affusolate: il diametro alla base è di circa diciotto centimetri, mentre alla punta supera di poco i sei. All’estremità di ogni appendice è connessa una piccola protuberanza triangolare, verdastra e membranosa, lunga venti centimetri e larga quindici verso il fondo. È
questa la pagaia, pinna o pseudopodo che ha lasciato le impronte da noi trovate nella pietra, e che datano da un massimo di un miliardo d’anni fa fino a un minimo di cinquanta-sessanta milioni. Dagli angoli interni del sistema a forma di stella emergono appendici tubolari rossastre, affusolate, che alla base misurano circa sette centimetri e mezzo e alla punta due e mezzo. In corrispondenza della punta si notano orifizi. Tutte le parti che abbiamo descritto sono durissime e simili al cuoio, ma molto flessibili. Le appendici da un metro e quaranta munite di ‘piedi’ triangolari servivano indubbiamente alla locomozione, in mare o sulla superficie. Quando tentiamo di muoverle, mostrano una forza straordinaria. Come già osservato per la parte superiore del corpo, anche le appendici inferiori erano accuratamente ripiegate sullo pseudo-collo e l’estremità del torso.
«Impossibile stabilire con sicurezza se queste creature appartengano al regno animale o vegetale, ma attualmente le probabilità sono a favore di quello animale. Forse rappresentano un avanzatissimo stadio nell’evoluzione dei radiati, di cui non sembrano aver perso certe caratteristiche primitive. Nonostante qualche discrepanza locale, le somiglianze con una sorta di echinoderma sono inconfondibili.
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