Mangerete, a vostra volta, il Prigioniero di Chillon.

Risero a poco a poco, gustosamente.

Per spiegare il significato del dramma e della relativa vendetta, bisogna dire che in casa Marvu ogni individuo ed ogni cosa, battezzata per lo più da Diego e da Maria, con l’aiuto dei piccini, aveva un nome e spesso anche un nomignolo. Il Prigioniero di Chillon era il magnifico maiale bianco-roseo dalla coda nera, rinchiuso in una loggia esterna del cortile, e Miranda, la sua recente vittima, una graziosa gattina nera. I cani da caccia di Giovanni, per esempio, si chiamavano Manfredi e Carlo d’Angiò: il cavallo Gialeto e la provvista della legna da ardere indovinate poi come la chiamavano? Arnaldo da Brescia!

Un vecchio servo campidanese, che improvvisava canzoni e suonava le leoneddas e la chitarra, Maria, dietro il classico e poetico consiglio di Nino, lo aveva rassomigliato - nientemeno - a Sordello Visconti. (Veramente Maria, che non conosceva Dante che di nome, non sapeva la distanza enorme fra zio Giuseppino e Sordello!). Da quel giorno zio Giuseppino, prima soprannominato Pira gotta (Pera cotta), si sentì sempre chiamare Sordello. Egli s’arrabbiava, credendo volessero dirgli ch’era sordo, e infatti lo era un poco, ma le sue proteste riescivan vane. Sordello andava e Sordello veniva. Che più? Le galline erano chiamate le undici mila vergini, benché fossero soltanto ventidue; e in questa denominazione era compreso anche il gallo!

Maria continuò a vincere, Nino taceva; talora s’incantava in un profondo pensiero, giocava distratto, e tratto tratto trasaliva leggermente.

S’avvicinava l’ora di andarsene; e poiché quella sera egli voleva tentare il colpo meditato da lungo tempo, non sapeva a quale ispirazione votarsi per consegnare a Maria una lettera d’amore.

La fortuna lo favorì. Nel chiasso destato da Diego per la storiella di Badòra egli poté dire alla fanciulla:

- Maria, mi fai un piacere?

Disse solo così; ma la voce gli tremava e il suo viso si contrasse come per uno spasimo fisico.

- Cos’hai? - ella chiese con premura. - Ti senti male?

- No, no. Mi fai dunque un piacere?

- Magari due! Cos’è?

- Quando me ne vado, vieni tu a farmi lume e accompagnarmi…

- Perché? - ella chiese guardandolo ingenuamente stupita. Ma egli la fissava così stranamente, con tanta sincera passione, che ella finalmente comprese e arrossì.

- Perché? Perché? - chiese sommessa, chinando gli occhi.

- Vorrei dirti una parola.

- Non puoi dirmela ora?

- No, non posso. Verrai?

10

Ella pensò un poco, alquanto sconvolta. In apparenza essi giocavano ancora, ma gettando a caso le carte, senza neppur vederle. A lui tremavano lievemente le mani: era spaventato, meravigliato e felice di quanto aveva osato. Anche senza averla completamente giocata, sentiva d’aver vinto la partita.

- Verrai, Maria, verrai?

- Sì.

Rasentando la tavola, Diego udì queste ultime parole, la domanda supplicante e ardente, la risposta soave e promettente; e il dubbio che passava nella sua testa di bimbo-uomo, si fece certezza. E così, invece di ritirarsi, rimase sulla balaustrata nera che la ripercussione del vento esterno faceva fremere e tinnire, nella vuota oscurità della scala fredda.

Rimase un bel po’, tremando di freddo, ma finalmente il suo pallido viso satirico dagli occhi lunghi socchiusi, affacciato prudentemente nel vano d’un circolare fiore nero della balaustrata, vide i due colpevoli uscire e fermarsi sul pianerottolo.

Maria teneva alto un lume, la cui luce tremò alla fredda aria della scala. Nino estrasse rapido dalla tasca del soprabito la bianca ed elegante lettera, e gliela pose nell’altra mano.