Occorrendo una scusa gli consegnò prima un uggioso lavoro da eseguirsi nell’ufficio, poi gli disse, fissandogli in volto gli occhi nuovamente immersi in egoistico raccoglimento:
- C’è una lettera per Lei.
Cassio non disse nulla, ma sollevò la testa e una rossa vampa di commozione gli colorì il volto e le orecchie.
13
E, per la seconda volta, accadde un fenomeno; il Direttore del Penitenziario ebbe invidia del detenuto. Perché al detenuto, nella sua profonda miseria, giungeva una voce di conforto e d’affetto che doveva illuminargli tutto il buio orizzonte d’un fulgore d’aurora lontana che riflettevasi sul suo volto; e a lui, libero e padrone, solo e perduto nell’infinita tristezza di mille profonde miserie, non arrivava mai, né da vicino né da lontano, una voce di affetto, un raggio di luce.
Nella sua commozione Cassio intravide qualche cosa d’anormale nell’animo del Direttore e ne profittò, da astuto sardo ch’egli era, chiedendo arditamente il permesso d’aver tosto la lettera e poterla leggere in Direzione.
Meglio lì, sotto la mal celata indifferenza dei piccoli occhi verdi, che nell’orrendo ambiente dell’ufficio, tra la volgare curiosità dei tre rassegnati scrivani.
Da quel giorno egli parve più socievole, più rassegnato, e il signor Direttore gli mostrò qualche deferenza che, non sfuggendo agli altri detenuti, confermò la voce della presunta parentela. Tuttavia non ottenne il permesso di scrivere prima d’esser compiuto un mese dal giorno del suo arrivo nello stabilimento, ma il giorno in cui poté finalmente scrivere ottenne due fogli. E la sua lettera non fu meno affettuosa di quella della sorella, ma meno dolce, meno delicata: fra le righe nervose fremeva il dolore dell’impotenza.
«Sono qui da un mese, ma mi pare d’esservi da trent’anni. Comincio a rassegnarmi; mi hanno messo nell’ufficio degli scrivani, con tre sconosciuti antipatici (il Direttore cassò queste quattro parole); il lavoro è molto, quasi opprimente, ma fa passare meno dolorosamente il tempo. Sulle prime non potevo assuefarmi: ora sono meno disperato. Il signor Direttore è assai buono con me.
Sì, sì, il tempo passerà, il tempo passa, ma intanto io ho l’impressione che la mia condanna sia eterna: che i 987 giorni che ancora mi restano da scontare sieno infiniti come le rene del mare. Mi opprime più di tutto il pensiero del tuo dolore.
Ma pensando a te mi conforto. Tu sei tanto buona. Purché, nella mia assenza, non ti mariti e ti dimentichi di me! L’ho detta grossa; perdonami, cara Paola; ciò che ho detto non è possibile. Come la buona sorella può dimenticare il fratello infelice? Eppure, alle volte, quando non posso dormire, accresce il mio affanno anche questo pensiero. Chi poteva credere che le cose andassero così?
Io ero rassegnato a tutto, ma in fondo speravo nella giustizia degli uomini. Che cosa hanno fatto di me! Scrivimi presto, non dimenticarmi: se ciò fosse saprei trovare un termine fatale al mio soffrire».
E non salutava nessuno, non si ricordava di nessuno, tranne che di lei. La risposta giunse a volta di corriere, con pacchi di roba, libri e denaro.
Il signor Direttore provò nuovamente uno strano fascino di dolcezza e di invidia leggendo la buona ed elegante lettera di Paola. Ella non rimproverava il disgraziato per la poca fede che mostrava nel suo affetto, ma si diceva accorata nel sentirlo tanto triste, lo assicurava che non si sarebbe maritata prima del suo ritorno, e aveva una buona parola anche per il signor Direttore. «Amalo e rispettalo: egli può farti molto bene, può esserti un padre (- Un fratello signorina! - pensò il Direttore): io prego per te e per lui: (- Grazie! - egli disse fra sé, un po’ amaramente)».
Nella terza lettera, avendole Cassio chiesto cosa ella faceva e come passava il tempo, Paola scrisse:
«I giorni passano tristissimi nella tua lontananza: io sbrigo come posso gli affari e vado spesso in campagna con la balia e il balio. Poveretti, essi mi sono di tanto aiuto. Andiamo a cavallo, e queste cavalcate sono il mio unico divago. A casa nulla di nuovo: lavoro attorno all’arazzo che cominciai in collegio, quando i miei sogni erano così diversi dalla presente realtà, copio in esso certi vecchi ricami sardi scovati dalla balia.
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