- È il tirtillo - disse.

- Il tirtillo. L’avevo immaginato. Il prezioso segreto dei pascoli sardi, che dà al formaggio sardo quello speciale aroma.

Cassio accennò di sì.

- Il famoso tirtillo, - disse inoltre il Direttore, - la nuova cura per l’epizoozia.

- Conosciuta da secoli in Sardegna - disse Cassio umilmente. - Molte cose che al continente passano per scoperte sono popolarissime nell’isola.

Il Direttore non protestò. Volse le spalle e si rimise a scrivere, e tutto pareva finito, quando improvvisamente rivolgendosi disse a Cassio, senza guardarlo:

- È stata chiesta la grazia, per lei?

- Sì: da appena fu respinto l’appello in Cassazione e mi trovavo ancora nelle Giudiziarie di Cagliari.

- A chi è stata chiesta?

- Al Ministero.

- Male. Il Ministero, anche se sollecitato, non definisce mai. Spesso il detenuto ha finito il suo tempo prima che sia definita la pratica.

Cassio si rattristò profondamente.

- Bisognerebbe volgere la domanda alla Regina; si ottiene più presto.

- Perdoni - disse Cassio curvando il volto - ma si otterrà? Ma si otterrà?

- Se la domanda sarà fatta da sua sorella, si otterrà… - rispose quasi stizzosamente l’altro, e volse di nuovo le spalle, di modo che non vide il rossore del detenuto, e questi non scorse il rossore del signor Direttore.

Questa volta il discorso era finito davvero; dopo un minuto Cassio fu ricondotto nell’ufficio. Ma era già un altr’uomo: la presenza dei tre infelici compagni gli riusciva compassionevole ma non più odiosa; le sue pallide dita conservavano la fragranza aromatica del tirtillo e accostandosele alla bocca egli sentiva tutta la fresca dolcezza delle sue alte praterie soffiargli nell’anima.

17

E per la prima volta, forse, il Direttore fu amato sinceramente da uno dei suoi detenuti. Cassio scrisse a Paola raccomandandole di chieder la grazia alla Regina.

«La domanda puoi farla tu stessa, senza ricorrere di nuovo all’arida e venale prosa di un avvocato. Esponi le cose come andarono. Io spero, e benedico la persona che mi consigliò».

Passò anche l’inverno. Nelle albe ancora tarde ma limpidissime di febbraio Cassio tornava all’inferriata; il volto era esangue e le vene verdastre diramavano un ramo nudo sulla diafana epidermide della sua fronte, ma gli occhi brillavano di speranza. Dall’Appennino che sfumava le sue creste bianche sull’azzurro cristallino del cielo calava un gelido, ma sano odor di neve; lunghe striscie di erba d’un verde umido vivissimo solcavano il paesaggio, e nell’orto gli albicocchi si filogranavano già di gemme rossastre.

Cassio sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, nella misteriosa attesa d’un lieto evento; tutto il preludio di quel lembo di primavera gli si rifletteva nell’anima.

Un altro uomo, libero nelle sue fredde e melanconiche stanze, provava la stessa irrequieta eppur dolce sensazione; i verdi occhi riflettevano il tenero splendore dell’erba rinascente, e una gemma vermiglia schiudevaglisi in cuore.

Un giorno finalmente giunse la richiesta del Ministero sulla condotta tenuta nel Penitenziario dal detenuto Cassio Longino fu Isidoro, ecc.