Speri.

Si sollevò, arrotolò con le dita esangui la carta del decreto, guardandola con occulta amarezza: e dominò la piccola persona del Direttore che gli si avvicinò tendendogli la mano e ringraziandolo. Chiese di poter rientrare nella cella e di spiegargli la branda; gli fu concessa ogni cosa. E si gettò sull’ispido 19

giaciglio gemendo. Paola non era sua sorella, ma sua fidanzata. Per lei aveva spezzato il suo onore, compromesso tutto il suo avvenire, rotto ogni relazione con la famiglia. Ella sola gli restava, e pietosamente eraglisi finta sorella per potergli scrivere. Doveva ora perderla? Egli era povero oramai e disonorato: l’altro occupava una splendida posizione sociale, era buono e di nobile cuore.

Aveva egli il diritto di togliere a Paola una possibile felicità? Egli le aveva sacrificato il suo onore e quasi due anni di libertà: ma il sacrifizio non era chiesto da lei e non era giusto che egli in cambio le chiedesse tutta la vita.

Ad ogni modo ella sarebbe stata arbitra; - e in fondo egli sentivasi sicuro di sé, - ma lo opprimeva il dolore di avere ingannato e d’ingannare ancora quell’uomo stranamente buono e nobile.

- Io gli dirò tutto, avvenga che può - pensò sollevandosi dopo lunga ora d’affanno; ma ritto che fu, il suo buon proposito sparve.

- No, non dirò nulla. Ha egli il diritto di sapere? No. Gli scriverò dal mio paese; dopo tutto egli ha operato il bene per conto suo, per egoismo. I suoi occhi felini non mi rassicurano; ora potrebbe farmi qualche torto.

Ma poscia si vergognò del suo dubbio; urlò fra sé:

- Sarei vile? - e s’aggirò nella cella come belva rinchiusa.

Fermandosi presso l’inferriata rivide le nuvole bianche e diafane stese ancora all’orizzonte; conservavano tuttora l’illusione d’una scalinata d’alabastro conducente ad altezze ineffabilmente pure, ma i vaporosi gradini si erano assottigliati e illuminati; sembravano profilati d’argento e svanivano e degradavano con indicibile dolcezza. Cassio fissò gli occhi lassù, pensando con profonda nostalgia alla patria lontana; e improvvisamente si sentì buono e puro come se si trovasse nell’alta luce dell’estremo di quei gradini e al di là e al di sotto dei suoi sguardi si stendessero le dolci terre natie. Pensò:

- Senza di lui io dovrei per altri lunghissimi mesi languire qua dentro: forse ne morrei o commetterei qualche pazzia. Gli dirò tutto, avvenga che può.

Aspettò ansiosamente l’ora di ricomparirgli davanti, e quando poté vederlo gli disse con voce ferma:

- Senta, signor Direttore, ho ben riflettuto su quanto stamattina si degnò comunicarmi.

- Benissimo - rispose l’altro mentre pensava la parola contraria.

- Prima di riparlarne, giacché è necessarissimo riparlarne, mi permetta dirle in poche parole come andò la strana faccenda della mia condanna. Poiché - aggiunse con triste sorriso - oso credere che Ella non mi abbia creduto colpevole come per disgrazia sembro.

L’altro stette zitto.

- Senta. Da circa dieci anni amo una ragazza del mio paese. Era ricca, ma orfana d’ambi i genitori e sotto tutela. Fu messa in collegio e anch’io stetti lunghi anni assente dal paese. Al ritorno seppi che benché avesse raggiunto l’età maggiore, ella, la povera fanciulla, tornata pure essa in paese, giaceva sotto l’opprimente tutela dello zio che la maltrattava e s’impossessava di tutto.