L’altro lo ascoltò pazientemente; a momenti una vivida luce gli brillava negli occhi, ma fu irremovibile.
- Senta - conchiuse dopo aver ringraziato Cassio - se il suo dovere è di credersi riconoscente verso di me e generoso verso la signorina, il dovere di questa, oramai, è di renderla felice e ricompensarle ogni sacrifizio.
- Pure…
- Favorisca… mi lasci finire. Se la signorina operasse altrimenti non sarebbe più la nobile e ottima creatura ch’io sognai… E la mia domanda non avrebbe più ragione d’esistere… Mi capisce? Ho sì o no ragione?
Cassio non rispose né sì né no: il Direttore s’avvicinò all’inferriata. E due supremi sentimenti dilagarono nell’anima dei due uomini: Cassio si sentì felice, e il Direttore pensò amaramente che, in ogni caso, il suo sogno era inesorabilmente perduto.
L’ASSASSINO DEGLI ALBERI
Vivevano una volta ad Orune, fierissimo villaggio sardo posto su un’alta montagna, e famoso per le sue inimicizie, due amici, uno povero e l’altro benestante.
Il povero si chiamava Martinu Selix, soprannominato Archibusata (Archibugiata), forse perché usava moltissimo questa parola come intercalare. Del resto non pareva d’istinti feroci, e l’archibugio egli non poteva usarlo, perché era tanto povero da non potersene procurare uno col relativo porto d’arma. Faceva il contadino, seminava molto grano, era giovine, forte, di colorito acceso, con nerissimi occhi torvi e sospettosi.
Sarvatore Jacobbe, il benestante, era invece una specie di piccolo possidente, vestito in costume, ma con giacca di velluto. Aveva tratti signorili, e quando viaggiava portava la polveriera attaccata a un grosso cordone di seta nera.
Possedeva bestiame, cavalli, cani, due servi, un gran tratto di terreno piantato a vecchi ulivi ed olivastri; aveva una bella sorella e molta presunzione.
Tutti dicevano:
- Martinu Selix si crede qualche cosa perché va in compagnia di Sarvatore Jacobbe. Si crede forse che gli dà la sorella per isposa!
21
Ma Archibusata non ci pensava neppure. Faceva dei servizi delicati all’amico; qualche volta, quando questo era a Nuoro, per affari, o si trovava occupatissimo per le elezioni, Martinu andava all’ovile, guardava se il servo pastore faceva il suo dovere, se le cose andavano bene, e infine rendeva cento altri piccoli servigi. Egli non ne provava alcuna umiliazione, sebbene la bella Paska lo riguardasse quasi come un servo, e lo mettesse spesso in caricatura.
Le donne d’Orune sono belle, superbe, strane, argute, dotate di selvaggia intelligenza. Parlano in modo meraviglioso, un linguaggio caldo, arguto, pieno di immagini fantasiose; fingono entusiasmo, ira, meraviglia per molte cose; hanno camicie ricamate, corsetti gialli, occhi profondi e bui come la notte.
Ballano volentieri, siedono per terra all’orientale, e implorano terribilmente vendetta dal cielo contro le terrene offese.
Il padre di Paska e di Sarvatore, per esempio, era morto in reclusione, condannato, Dio ci liberi, per omicidio. I figliuoli naturalmente dicevano ch’egli era innocente, e ogni anno Paska, per il funereo anniversario rinnovava la ria, piangendo, strappandosi la cuffia, cantando funebri versi estemporanei: inoltre mandava uno scudo a Nostra Signora di Valverde perch’Ella castigasse tremendamente coloro che testimoniando il falso avevano fatto condannare il defunto.
Paska era ambiziosa e presuntuosa quanto il fratello. Da bambina, secondo il costume del paese, era stata fidanzata ad un uomo tanto ricco quanto maturo.
Venuto però in bassa fortuna il fidanzato, la maliziosa bimba non aveva più voluto sentir parlare di matrimonio. Ora chi sa ciò che ella sognava, quando seduta sui calcagni, sul lucido pavimento della chiesa, agitava lievemente le labbra di melograno, con gli occhioni smarriti in alto, tra i rozzi affreschi della volta.
Era alta e flessuosa, con un rigido profilo bronzino. Sembrava una madonna di bronzo. Gli uomini anche i più benestanti temevano farle la corte: figuriamoci quindi se Martinu Selix osasse neppure guardarla in viso. Egli non lo diceva, ma le era anzi antipatica. Come tutte le donne benestanti di Orune, paese dedito alla pastorizia, Paska sapeva fare a perfezione i formaggelli, il burro, sas tabeddas, le treccie e tante altre cose che si plasmano col formaggio di vacca passato al fuoco.
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