E le zucche arabescate, colme di vino rosso, circolavano, riscaldando vieppiù il sangue di quei fieri uomini dai denti splendidissimi, dalle vesti aspre e scure.

Martinu Selix prestava a tutti aiuto: rideva mostrando tutti i suoi denti stretti, sembrava felice: pareva il sopraintendente di Sarvatore, il quale non faceva nulla, con le mani incrociate sulla schiena e il volto sorridente.

Qualcuno degli invitati restava urtato dai modi troppo padronali del Selix: specialmente Pretu-Maria Pinnedda lo fissava spesso con uno sguardo metallico e iroso.

Il giovinotto rosso dai grandi occhi grigi e maligni era innamorato di Paska, e provava gelosia dell’amicizia che Sarvatore concedeva al Selix. L’aria di padronanza presa in quel giorno da Martinu lo urtava più che mai, e per urtare Pretu-Maria bastava un soffio d’aria. Già due volte s’eran dette parole aspre, causa il modo di stringer il vincastro. Martinu diceva:

- Non occorre stringerlo molto.

E l’altro asseriva il contrario.

Parlando di Paska, un momento che Sarvatore era lontano, uno disse scherzando, non senza ironia:

- La mariteremo a Martinu Selix.

- Archibugiata! - egli rispose con un fiero lampo negli occhi. - Ti pare una cosa impossibile?

- Archibugiata - disse l’altro. - Tutto è possibile in questo mondo.

Martinu scrollò le spalle come per dire: - Se volessi!

Pretu-Maria arrossì di collera, ma non disse nulla perché l’argomento gli cuoceva troppo, e capiva che parlavano così in sua presenza per farlo stizzire.

- Se voi siete furbi come l’aquila, io lo sono come la volpe! - pensò.

Ma un momento prima del pranzo, non sapendo come meglio rinnovar a Paska le sue dichiarazioni, le disse con finta amarezza:

- Ora so perché non mi volete.

- Perché, avoltoio senza barba? - chiese ella, degnandosi di guardarlo.

- Perché avete idea di pigliarvi Martinu Selix.

23

Ella gettò un acuto grido, uno di quei caratteristici gridi che solo le donne d’Orune sanno fare.

- Chi ve l’ha detto?

- Lui stesso.

- Menzogna.

- Che mi sparino se non è vero!

E ripeté il dialogo, aggiungendovi qualche cosa di suo.

Paska si fé buia in volto, e fu per strapparsi la cuffia in segno di umiliazione e di dispetto.

Soddisfatto discretamente, Pretu-Maria la pregò di tacere, di non far scandalo; ma ella, irritata sul serio, prese a dileggiare apertamente Martinu anche durante il pranzo.

Seduti in circolo, per terra, i convitati mangiavano su taglieri di legno e su pezzi di sughero: per posata portavano i coltelli affilati e niente altro. Più che il vino, il miele, raffreddatosi ma non del tutto, condiva il pranzo, in esso immergevano le bianche fette del formaggio fresco, il formaggello arrostito, le lattughe, il pane e persino la carne. Molti lo mangiavano senz’altro, succhiandone tutta la dolcezza e sputando lontano la cera masticata.

Allegri discorsi guizzavano da un capo all’altro; risate sonore vibravano nel rezzo dei vecchi ulivi. A nord e ad oriente le montagne azzurre sfumavano nel dilagare azzurro del fulgido meriggio.

A un tratto tutta l’allegria cessò: una maligna nuvola passò sul lieto convito.

Paska diceva, rivolta a Martinu:

- Lo vedete il conte d’Artea, che vuole una dama per moglie! Peccato che ad Orune non ce ne sia!

Martinu, che finora aveva risposto con calma agli scherzi salati di Paska, finì con l’irritarsi, tanto più che il vino lo rendeva più ardente e sospettoso del solito.