- Lasciami in pace, Paska, che io non ti sto cercando. Lo so bene che sono un mendicante, ma una donna migliore di te posso ben trovarla.
- Eh, sicuro! Nostra Signora di Valverde ci aiuti! Donne come me tu non ne vuoi.
Le vuoi… come te stesso…
- E chi sei tu? Perché hai due soldi da spenderti? Archibugiata! Ma sta attenta: il mondo è una scala. Chissà che i figli miei non possano far l’elemosina ai tuoi!
Paska diventò rossa come lo scarlatto che orlava la sua gonnella. Disse:
- Per ora posso farla io a te!
Martinu sbatté a terra, violentemente, una piccola tazza di latta piena di vino, che teneva fra le mani, e gridò un insulto contro la fanciulla.
- Martinu! - urlò Sarvatore.
- Non m’importa nulla di te! E di nessuno m’importa! - gridò Martinu, con gli occhi verdi per l’ira. - Siete tanti cani rognosi! Non dipendo da te, Sarvatore Jacobbe, e forse tu dipendi più da me, che io da te. Non ti devo nulla! Non ti devo né pane né grano né denaro; e tua sorella può far a meno di rinfacciarmi la mia povertà. Povertà non è viltà, Sarvatore Jacobbe, povertà non è viltà. Ma se credi che la mia amicizia possa farti disonore, posso ben…
- Tu sei ubbriaco.
- Ubbriaco sei tu.
- Rognoso!
- Rognoso sei tu.
Basta; ne nacque una disputa fierissima, e per poco macchie di sangue non s’unirono alle chiazze del vino che profanavano l’erba. I due amici si rinfacciarono cose fino allora ignorate dagli astanti; e le loro fronti arsero di rossore, non si sa se più per la collera o per la vergogna.
Le donne strillavano. Bianca per terrore, Paska si pentiva delle sue parole, e con modi insinuanti cercava smorzare il fuoco da lei acceso. E il fuoco fu spento; gli amici parvero anzi riconciliarsi, e Martinu, che voleva andarsene, rattenuto a viva forza, rimase; ma non alzò più i suoi torvi occhi sul volto di Sarvatore; e questo se ne stette in un canto, sinceramente mortificato per lo scandalo dato.
Si riprese a innestare. Pretu-Maria aveva l’aria d’un uomo vittorioso; ma anche Martinu rideva di tanto in tanto, forzatamente, a misura che i tronchi innestati venivano marcati col segno della croce.
24
Due giorni dopo Martinu Selix partì per la festa di San Francesco di Lula. Partì sul far della sera, a piedi, a testa nuda: così era il suo voto. La notte lo colse in viaggio: allora il pellegrino cambiò direzione e invece di proseguire verso San Francesco, scese verso l’Isalle e s’appostò fra gli oleandri. A notte alta, mentre la sacra rugiada del cielo pioveva sulla dormiente natura, e l’acqua del fiume rabbrividente rifletteva la gran pace arcana della luna al tramonto, e più distinti salivano i profumi dei giunchi, Archibusata compié la sua terribile vendetta senz’arma. Strappò le marze dagli alberi innestati con tanta cura e religione.
Ma nel rivarcare il muro, un uomo gli si rizzò inesorabile davanti; e nel pallido albore lunare brillò la canna d’un fucile.
- Io lo sapevo, faina maligna! - gridò Sarvatore Jacobbe. - Ora potrei ammazzarti come un cane, ma ti farò qualcosa di peggio.
Tre uomini uscirono dai roveti.
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