Zia Jacobba si fece dolce e supplichevole. Allora Pottoi le fece giurare che le avrebbe dato i due scudi d’oro, e che mai avrebbe palesato chi aveva scoperto la magia. La povera donna giurò. Poi si avviarono assieme verso le paludi ove zia Jacobba soleva pescar le sanguisughe.
Pottoi raccolse la sottana fra le gambe, avanzò e scavò fra i giunchi, sui quali Chianna era passata l’ultima volta ch’era andata laggiù; e ne estrasse una statuetta che aveva le forme d’una bambina gonfia per le febbri, tutta tempestata di pezzetti di vetro e di chiodi.
- L’ha fatta zia Maria di Locula - disse a voce piana.
Zia Maria era una povera tessitrice, del villaggio di Locula, una povera donna che sembrava la più innocente creatura del mondo.
Zia Jacobba, con le mani tremanti e il volto livido, piangeva e imprecava, guardando per tutti i versi la fatale statuetta. Cercò saperne di più, ma Pottoi si chiuse in sovrano silenzio, volle i due scudi d’oro, rotondi e gialli come piccolissima luna, e se ne tornò a casa sgambettando.
L’arcano era questo: avida dei due scudi d’oro, e volendo anche non so per qual causa far male a zia Maria di Locula, zia Sebia aveva qualche giorno prima fatta e sotterrata la statuetta, mandando poi Pottoi a corbellare la povera vedova.
Tutto era andato bene; ma zia Jacobba cadde malata dal dispiacere, e Pottoi si pentì sinceramente del suo mal fare. Non potendo rimediare in altro modo, cominciò a frequentare la casa di zia Jacobba, assistendola e confortandola.
Zia Sebia bastonava la piccina, ma ella andava lo stesso dalla sua vecchia amica: le spazzava la casa, faceva il fuoco, portava l’acqua. A momenti zia Jacobba credeva veder Chianna risuscitata, e tanto si affezionò alla ragazza che l’idea di adottarsela per figliuola la riconciliò con la vita. Appena poté, cominciò le pratiche presso zia Sebia; ma la sua proposta fu respinta con orrore.
Diceva zia Jacobba, con profonda convinzione negli occhi:
- Datemi Pottoi, comare; vedrete che non ve ne pentirete, comare.
Ma zia Sebia aveva un maligno splendore verde negli occhi, e per poco non bastonava la povera donna. L’idea che Pottoi poteva render felice quella disgraziata dava una vertigine di rabbia al suo perfido cuore.
- Ed io fuggo! - disse Pottoi.
La madre le diede una batosta numero uno, e poi la mandò serva a Nuoro. Zia Jacobba non la rivide mai più. L’assenza di Pottoi, a cui s’era tenacemente affezionata, la fine della sua nuova speranza, e le ingiurie ricevute da zia Sebia, furon per lei il colpo fatale. La febbre l’assalì ferocemente: tutto l’inverno passato ella restò a letto, invocando la morte, che venne a trovarla verso i primi d’aprile di quest’anno.
Una sua miserissima cugina, che negli ultimi giorni penosi l’assisté per amor di Dio, trovò fra la stoppia del saccone del letto una scatoletta piena di quei doppi scudi d’oro, rotondi e gialli come piccolissime lune. Questa fortuna colossale, per quanto misteriosa, le permette di sposare un bel giovine, che alla luce di quelle piccole lune non vuol vedere che la sposa è sdentata e discretamente calva per i suoi cinquant’anni.
Zia Sebia dice ch’è denaro del diavolo, e dicendo così gli occhi suoi sembrano di vitriolo; ma intanto si rode notte e giorno i pugni e muore di dispiacere.
DONNA JUSEPA [6]
- Bakis, - disse zia Antonia, appena suo marito, che tornava di campagna, fu seduto accanto al fuoco, - don Antine ha mandato a chiamarti due volte.
A queste parole Bakis Fronte si drizzò come una canna, aggrottando le grosse sopracciglia grigie.
- A che ora? - domandò.
- Di mattina e di sera.
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