- Tu sai, Bakis Fronte, che sei più piccolo di questo mio dito mignolo, - e glielo mostrava, - ed io potrei annientarvi con una parola.

- Voi farete un corno! - gridò Bakis, e poiché non poteva avanzarla in avanti, spinse la testa indietro. - Benché siate ricco, non vi temo più dei miei scarponi. La ragazza tornerà a casa, altrimenti guai, guai, guai!

- Ha ventitré anni. La legge…

- La legge la faccio io e la fa mia moglie. Oh che! Anzi faccia attenzione, vossignoria signor don Antine; sapete che non ho altro che la mia pelle e il mio onore, e la prima, perdio, posso bene esporla per il secondo.

Don Antine sorrise con pietosa dolcezza:

- Ah, vorresti dunque uccidermi, tu? Tu, Bakis Fronte? Ma, senti, se la cosa, cioè quella stupida cosa che dicono in paese, fosse anche vera, che te ne importerebbe? È tua figlia, forse?

- È figlia di mia moglie! E suo padre era mio amico, e mi disse una volta:

«Bakis Fronte, quando sarò morto tu fa da padre a mia figlia».

- Ah, è perciò che hai sposato la madre? E quel buon uomo, sapeva che avresti sposato sua moglie, eh? - disse don Antine, con malignità che voleva parer bonaria. Si sedette. L’annoiava la piega seria che le cose pigliavano, e si passava la mano sulla testa calva, come per scacciarne idee moleste.

- L’ho sposata perché mi è parso e piaciuto - disse l’altro, pigliando coraggio dal contegno del signore; - e ora tutto il villaggio dice che non son buono a custodir la figliuola di mia moglie, a strapparla da una casa dove il padrone non la guarda più come serva, ma come… altra cosa. Ma io l’ho bastonata, perdio, e tornerò a bastonarla se non torna subito a casa!

- Bella prodezza, Bakis Fronte! Si bastonano le bestie. È una calunnia…

- Una calunnia, una calunnia! E allora perché vossignoria piglia tanto interesse…

- Perché? Perché quella ragazza è una buona servente, perché mi regge la casa, perché mia figlia vuol solamente lei. Infine, per non dar retta a questi cretini, per non darla vinta a questi serpenti… Cosa altro vuoi che mi occupi di te, di tua figliastra o del resto?

Egli ora parlava con tale indifferenza, con tal fine disprezzo, che Bakis sentì il terreno mancargli.

- Tu sei uno sciocco, Bakis Fronte: io non so, non capisco come si possano creder certe cose. Eppure tu passi per un uomo savio.

- La saviezza e la stoltezza le dà Iddio nostro Signore. Del resto, vossignoria don Antine dovete sapere che la stoltezza è di trentadue qualità: ogni individuo ha la sua.

- Tu parli bene, ma benissimo anzi - disse il cavaliere, sempre passandosi la mano in testa. - Però io credevo che tu fossi un uomo savio.

- Ma non sente, don Antine, la sciocchezza è di trentadue…

- Infine, le lingue cattive bisogna lasciarle dire. Ma infine c’è solamente tua figliastra in casa mia per servente? Le lingue cattive…

- Non c’è fumo senza fuoco. Infine io la voglio in casa, vero o non vero; ecco tutto.

- Ma allora si dirà di più. È meglio lasciar dire. Fa una cosa, Bakis Fronte: queste non son cose da parlarsi fra uomini; fammi venir tua moglie. Le spiegherò…

- Ma avete avvisato me, avete avvisato me.

- Ti credevo più ragionevole. Ora…

Non sappiamo perché, zio Bakis, che quasi quasi si lasciava persuadere, sentì improvvisamente ribollirgli il sangue: arrossì e proruppe:

- La voglio in casa! Sia inteso!

La sua voce era così terribile che Jusepa, la quale origliava dietro l’uscio, diventò bianca per paura.

- Ma allora io me ne lavo le mani - disse don Antine, levandosi e facendo atto di lavarsi le mani.