Ma ella le strinse al seno e rise.
- Sai cosa ho sognato, Maria, stanotte? Ah, non puoi saperlo mai e poi mai…
- Che cosa? - chiese, ella, senza troppa curiosità.
- Indovinalo, grillo, cioè cicala, perché tu sei una cicala, quando non sei una puledra.
- E tu un asinello. Lascia lì quelle carte, son mie!
- Oh, mi sembravan mie. Ho sognato ah, se tu sapessi che stranezza!
- Filippina, - diceva Nino coi gomiti sulle ginocchia e il volto sentimentalmente fra le mani, - stanotte sei pallida come un biancospino.
Cos’hai, a che pensi?
- Fammi il piacere, chiamami Filippa - rispos’ella duramente. E rivolta a Diego gridò: - Cosa dunque hai sognato, sornione?
- Fa il fatto tuo - egli rimbeccò: e abbassando la voce disse a Maria: - Senti, mi pareva ch’eravamo tutti a Roma, sai, da zio Francesco Agrabacca… eravamo immischiati negli affari della Banca Romana…
(Si era appunto in quel famoso periodo di tempo, e oltre l’interesse che Diego provava leggendo avidamente i giornali politici, c’era questo, che i Marvu avevano a Roma, grosso impiegato in un ministero, uno zio, don Francesco Agrabacca, implicato in qualche modo negli scandali della Banca Romana…).
Perciò Maria non si stupì molto del sogno di Diego: disse solo freddamente un: -
Niente meno! - che non le impedì di vincere un’altra giocata.
- Aspetta, non ricordo bene, ma mi pare che tu fossi la moglie del deputato Colajanni…
Allora Maria dovette ridere, coi begli occhi splendenti, gridando con entusiasmo:
- Signor Iddio!
Filippa disse: - Bravo! - e Diego poté finalmente lasciar scivolare il suo asso e pigliar destramente un’altra inutile carta.
- Quante persone ho sognato! Quel deputato Colajanni! È il primo uomo d’Italia, sai, il primo! (Giovanni Faira, che intese quest’affermazione, disse fra sé che lo zio di Roma la pensava altrimenti!). Mi pareva alto, grosso, colorito in viso, coi baffi biondi. Chissà se poi è così! Vattelapesca! Poi eravamo alla Camera, con zio Francesco e donna Maria Antonietta Faira.
- Ma, - domandò ironicamente Nino, sollevando la testa, - eravamo deputati anche noi? (Diego diceva già di voler diventare deputato).
- No, eravamo in una tribuna. Egli parlava.
Si alzò un po’ sulla sedia, e brandendo le carte, tuonò, imitando a creder suo la voce e il gesto del prediletto deputato:
5
- Non mi rompete le scatole…
- Che cosa hai? - gridò donna Martina, credendo che Diego e Maria si bisticciassero.
- Non l’abbiamo con voi! - egli rispose.
- Le mie congratulazioni ed augurî, Maria - disse Nino sollevando gli occhi, ma sempre a testa china.
Ella rideva, rossa in viso e con gli occhi scintillanti. Diego fece una discreta parlata, poi proseguì a raccontare il suo sogno, dove c’entravano ministri e senatori: profittando della gioia di Maria per rubarle le migliori carte con meravigliosa destrezza.
Sulle prime ella non s’accorse di nulla, ma visto l’improvviso voltafaccia del gioco cominciò a insospettirsi, si stancò del sogno di Diego, e cambiando d’umore stette attenta. Ora perdeva invariabilmente.
- Fammi il piacere, lasciami la testa - disse tagliando il mazzo; e distribuì lentamente le carte per il tresette, guardandole attentamente, perocché le conosceva tanto al dritto che al rovescio. Vide che le migliori andavano maledettamente all’avversario e s’impazientì.
- Ora scoppi tu - disse Diego, raccogliendole avidamente, e disponendole a ventaglio col dito insalivato.
- Sì, perché bari: sta attento che finirò col gettartele in viso.
- Diventi matta? Dio mi fulmini se ne ho imbrogliato una.
- Sta zitto tu, spergiuro - disse Nino.
- Zitto tu sii.
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