Il ventre di Vibescu batteva contro il sedere di Mira, la cui freschezza provocava nel principe una sensazione altrettanto piacevole di quella causata alla fanciulla dal calore del ventre del principe. Ben presto i movimenti si fecero più vivaci, più irregolari; il principe si stringeva più addosso a Mi-ra, che ansimava stringendo le chiappe.

La morse sulle spalle e la tenne stretta in questo modo. La ragazza gridava.

- Ah! che bello… resta… più forte… più forte… tieni, tieni… prendi tutto. Dammelo, il tuo sperma… Dammelo tutto…

Tieni… Tieni!

E in un orgasmo comune si accasciarono e restarono un attimo come annientati. Toné e Zulmé, allacciate sull’ottomana, li guardavano ridendo. Il vice-console di Serbia aveva acceso una sottile sigaretta di tabacco orientale.

Quando Mony si rialzò gli disse:

- Adesso, caro principe, tocca a me; aspettavo il tuo arrivo e mi sono solo fatto maneggiare un po’ da Mira, ma riservando a te il mio godimento. Vieni, cuoricino mio, mio adorato culetto, vieni, che te lo metto!

Vibescu lo osservò un istante, poi, sputando sul membro che il vice-console gli presentava, proferi’ le seguenti parole: GLI AMORI DI IN OSPODAR

(parte 4)

- Ne ho abbastanza di essere inculato da te, tutta la città ne parla!

Ma il vice-console si era fatto avanti, sempre col membro in resta, ed aveva afferrato una pistola.

La rivolse contro Mony, la mano sul grilletto, e quello, tremando, si voltò presentandogli il culo e balbettando: - Bandí, caro Bandí, lo sai quanto ti amo, inculami, inculami.

Bandí, sorridendo, fece penetrare il membro nel buco elastico che si trovava tra le natiche del principe.

Entratovi, mentre le tre donne osservavano, si dimenò come un invasato gridando:

- Per Giove! Godo, stringi, stringi, mio bel gitone, stringi, vengo! Stringi le tue belle chiappe!

E, gli occhi stravolti, le mani contratte sulle spalle delicate, eiaculò.

Mony si lavò, si rivesti’, disse che sarebbe tornato dopopranzo, e se ne andò. Ma giunto a casa sua scrisse questa lettera:

“Mio caro Bandí, sono stufo di farmi inculare da te, sono stufo delle donne di Bucarest, sono stufo di dilapidare qui una fortuna, che potrebbe rendermi felice a Parigi. Tra due ore sarò partito. Spero di divertirmi enormemente e ti dico addio.

Mony, principe Vibescu, hospodar ereditario.”

Il principe sigillò la lettera, e ne scrisse un’altra al suo no-taio pregandolo di liquidare i suoi beni e inviargli il ricavato a Parigi non appena avesse ricevuto il suo indirizzo.

Prese tutto il denaro che possedeva, e cioè cinquantamila franchi, e si diresse verso la stazione. Imbucò le due lettere e sali’

sull’Orient-Espress diretto verso Parigi.

CAPITOLO SECONDO

(parte 1)

- Ah!, signorina, mi è bastato vedervi e, folle d’amore, ho sentito i miei organi genitali tendersi verso la vostra sovrana bellezza, ritrovandomi più in calore che dopo aver bevuto un bic-chiere di rakí.

- Con chi? Con chi?

- La mia fortuna e il mio amore sono ai vostri piedi. Se fossimo soli in un letto, vi dimostrerei la mia passione venti volte di seguito. Che le undicimila vergini o perfino undicimila verghe mi castighino se qui si mente!

- E talmente!

- I miei sentimenti non sono finiti. Non parlo cosi’ a tutte le donne. Non sono mica una farfalla.

- Tua sorella!

Questa conversazione si svolgeva sul boulevard Malesherbes in un mattino di sole. Maggio ridestava la natura a nuova vita e i passeri di Parigi pigolavano di amore sugli alberi di nuovo verdi.

Il principe Mony Vibescu teneva galantemente questi discorsi ad una bella ragazza agile, vestita con eleganza, che scendeva verso la Madeleine. La seguiva con fatica, tanto quella andava svelta.