- E va bene, disse quel pezzo di normanno dalla forza fuori del comune che, dopo essersi informato in portineria, suonò al primo piano.

Alessina andò ad aprirgli nuda come era; il cocchiere ne ricavò un capogiro, e poiché quella si rifugiava nella camera da letto, le corse appresso, l’afferrò per la vita, e le infilò per di dietro un affare di volume rispettabile.

Non ci mise molto a venire, esclamando: “Puttana Eva! Tuoni e fulmini! Razza di cagna!”

Alessina si muoveva a gran colpi di sedere e venne contemporaneamente al cocchiere, mentre Mony e Culculina si torcevano dal ridere. Il cocchiere, credendo che lo prendessero in giro, s’arrabbiò come un toro:

- Puttane, magnaccia, carogna, immondezza, lebbra, mi prendete per il sedere! La mia frusta, dov’è la mia frusta?

E, adocchiatala, se ne impossessò per menar colpi a tutta forza su Mony, Alessina e Culculina, i cui corpi nudi scattavano sotto le frustate che vi lasciavano segni di sangue. Poi il coso gli si rizzò un’altra volta, e saltando su Mony glielo infilò nel culo.

La porta d’ingresso era rimasta aperta e lo sbirro, che non vedendo di ritorno il cocchiere era salito su per le scale, entrò proprio in quel momento nella camera da letto; e non ci mise parecchio a mettere in mostra il suo membro regolamentare. Lo insinuò nel didietro di Culculina che chiocciava come una gallina e rabbrividiva al freddo contatto dei bottoni dell’uniforme.

Alessina, disoccupata, prese il bianco bastone che dondolava nella guaina su un fianco del sergente, e se lo introdusse dove sapete. Ben presto, tutti e cinque si misero a godere spaventosamente, mentre il sangue delle ferite colava sul tappeto, sulle lenzuola, sui mobili, e mentre nella strada si conduceva al depo-sito degli oggetti perduti il fiacre abbandonato 3269, e il cavallo lanciava peti a ogni passo, profumando il percorso in maniera nauseante.

CAPITOLO TERZO

(parte 1)

Dopo qualche giorno dalla seduta conclusa cosi’ bizzarramente dal cocchiere del fiacre 3269 e dall’agente di polizia, il principe Vibescu s’era appena rimesso dalle sue emozioni. I segni della flagellazione si erano cicatrizzati e lui se ne stava mollemente disteso su un sofà in un salotto del Grand Hôtel. Per eccitarsi leggeva la cronaca del “Journal”.

Una storia lo appassionò in modo particolare. Si trattava di un delitto spaventoso.

Uno sguattero di ristorante aveva fatto arrostire il sedere di un altro sguattero più giovane, e poi l’aveva sodomizzato tutto caldo e ancora a sangue, mangiando i pezzi rosolati che si staccava-no via via dal posteriore dell’efebo.

Alle grida del Vautel in erba, i vicini erano accorsi ed avevano arrestato il sadico lavapiatti. La storia era raccontata in tutti i particolari, e il principe se la gustava manovrandosi dolcemente il membro che aveva tirato fuori dai pantaloni.

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.

Una cameriera fresca e graziosissima, completa di cuffia e di grembiule, entrò su ordine del principe. Aveva in mano una lettera e diventò tutta rossa al vedere in che stato era il principe, che si ricompose e si allacciò le brache dicendo:

- Non se ne vada, bella signorina bionda, le debbo dirle due pa-roline.

Intanto aveva chiuso la porta, e afferrata la graziosa Marietta alla vita la baciava avidamente sulla bocca. Quella dapprima si dibatté un poco, stringendo le labbra, ma non ci volle molto perché, sotto la stretta, cominciasse a lasciarsi andare e a socchiuder la bocca. La lingua del principe vi si introdusse, subito morsa da Marietta, la cui lingua vivace solleticò la estremità di quella di Mony.

Con una mano il giovanotto la stringeva alla vita; con l’altra le tirava su la gonna. Non portava mutande. La mano fu subito tra due cosce che Mony non avrebbe sospettato cosi’ grosse e tonde perché la ragazza era alta e magra. La cosetta era pelosissima e calda. La mano si ritrovò ben presto all’interno di una umida fe-ritoia, mentre Marietta si abbandonava spingendo il ventre in avanti. La sua mano non restava inattiva, ed errava sulla patta del principe, accingendosi a sbottonarla.

Ne tirò fuori la sua superba lancia portafortuna appena intravi-sta quand’era entrata.