Accorse molta gente; ma a misura che si accostavano e che sentivano distintamente il magico suono, tutti ballavano senza potersi mai fermare. In breve la strada fu piena zeppa di gente che pa-7 Questa leggenda è stata raccolta a Nurri, grosso villaggio del circondario di Lanusei, dalla gentile signora Maria Manca, studiosa dei costumi e delle tradizioni sarde.
reva impazzita, che saltava smaniando, contorcendosi, chiedendo grazia al misterioso suonatore.
Costui però si divertiva molto nel veder ballare il prete, che grasso e tondo soffriva più degli altri in quella danza infernale, e non smise finché non lo vide cadere a terra sfinito e svenuto.
I tre fratelli, dopo tutto ciò, si diedero alla fuga, ma ben presto furono raggiunti, legati e gettati in fondo ad una torre.
Ma anche laggiù essi si divertivano suonando, ballando e mangiando insieme con gli altri prigio-nieri ed ai custodi della torre.
Perciò il loro processo fu presto sbrigato, e, condannati a morte, furono dopo pochi giorni con-dotti alla forca. Una fiumana immensa di gente, anche dei paesi lontani, si accalcava intorno intorno per godersi lo spettacolo dell’impiccagione dei tre fattucchieri.
Sul punto di morire i tre condannati chiesero ai magistrati presenti di accordar loro una grazia per uno. E siccome ai condannati non viene negata un’ultima grazia, tranne quella della vita, i tre fratelli ebbero ciò che chiedevano.
Il primo chiese di offrire un pranzo a tutta la moltitudine, compresi i giudici.
La proposta fu accolta con entusiasmo dalla folla, e subito il giovine stese la sua tovaglia sul palco. Ogni sorta di pietanze, di frutta, di dolci e di vini squisiti compariva sulla strana mensa.
La gente mangiava e beveva a crepapelle, ma più se ne consumava più grazia di Dio abbondava sulla tavola.
In breve tutti, sgherri, carnefici, popolo e magistrati furono ebbri e sazi a più non posso. Allora il secondo fratello chiese la grazia di distribuire del denaro. Figuriamoci se fu concessa! Aperto il portafogli incantato, il condannato distribuì enormi somme, in monete e lettere di cambio (i biglietti di banca non esistevano ancora) a quei poveri diavoli di soldati, di contadini e di pastori che mai avevano veduto una simile meraviglia.
Mentre tutti si abbandonavano ad una pazza allegria - come avremmo fatto anche noi, scrivente, lettrici e lettori, non ostante la nostra serietà e il nostro nobile disprezzo per il denaro -, il terzo fratello chiese, così tanto per formalità, la grazia di suonare. Sperando un altro benefizio, i giudici e la folla accordarono a grandi voci quest’ultima grazia. Il giovine ritto sul palco fatale, si mise a suonare e immantinente tutta la folla briaca, i giudici, le soldataglie e i carnefici si diedero ad eseguire una danza furiosa, macabra, spingendosi gli uni sugli altri, pestandosi, urtandosi, cadendo a terra chi svenuto, chi ferito e chi persino morto. E nella terribile confusione i tre condannati poterono svi-gnarsela e porsi in salvo coi loro talismani.
Monte Bardia
Questa leggenda risale all’ottavo o nono secolo. Dopo l’insurrezione dei sardi contro la dominazione bizantina, fuggiti i fiacchi Greci da Cagliari, l’isola si resse da sé per qualche tempo, governa-ta dal famoso re Gialeto, ch’era già stato capo dei rivoluzionari. Ma venne tosto infestata dai Saraceni, che la sbranarono con ogni sorta di scorrerie, di espilazioni, di saccheggi e di rovine. Le coste dell’isola erano costantemente piene di pirati e di guerrieri saraceni, e i villaggi marittimi erano quelli che più certamente ne soffrivano. Gli abitanti di Dorgali, grosso villaggio nel circondario di Nuoro, vicino alla costa orientale, ma difeso da un’alta montagna calcarea, tenevano sempre un gruppo di uomini forti e valorosi sulla cresta del monte, in guardia contro tutti i movimenti dei saraceni accampati sulla sottostante costa. Era una specie di assedio.
I saraceni spiavano il momento di poter passare sui monti senza pericolo, ma i Dorgalesi stavano fermi alla guardia. Così scorreva il tempo inutilmente, allorché i saraceni fecero una falsa ritirata.
Ingannati da ciò e spinti dalla loro profonda fede religiosa, un giorno di festa solennissima i Dorgalesi della guardia abbandonarono i loro spalti naturali e scesero al villaggio per assistere alle sacre funzioni.
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