La proposta fu accolta con entusiasmo dalla folla, e subito il giovine stese la sua tovaglia sul palco. Ogni sorta di pietanze, di frutta, di dolci e di vini squisiti compariva sulla strana mensa.

La gente mangiava e beveva a crepapelle, ma più se ne consumava più grazia di Dio abbondava sulla tavola.

In breve tutti, sgherri, carnefici, popolo e magistrati furono ebbri e sazi a più non posso. Allora il secondo fratello chiese la grazia di distribuire del denaro. Figuriamoci se fu concessa! Aperto il portafogli incantato, il condannato distribuì enormi somme, in monete e lettere di cambio (i biglietti di banca non esistevano ancora) a quei poveri diavoli di soldati, di contadini e di pastori che mai avevano veduto una simile meraviglia.

Mentre tutti si abbandonavano ad una pazza allegria - come avremmo fatto anche noi, scrivente, lettrici e lettori, non ostante la nostra serietà e il nostro nobile disprezzo per il denaro -, il terzo fratello chiese, così tanto per formalità, la grazia di suonare. Sperando un altro benefizio, i giudici e la folla accordarono a grandi voci quest’ultima grazia. Il giovine ritto sul palco fatale, si mise a suonare e immantinente tutta la folla briaca, i giudici, le soldataglie e i carnefici si diedero ad eseguire una danza furiosa, macabra, spingendosi gli uni sugli altri, pestandosi, urtandosi, cadendo a terra chi svenuto, chi ferito e chi persino morto. E nella terribile confusione i tre condannati poterono svi-gnarsela e porsi in salvo coi loro talismani.

Monte Bardia

Questa leggenda risale all’ottavo o nono secolo. Dopo l’insurrezione dei sardi contro la dominazione bizantina, fuggiti i fiacchi Greci da Cagliari, l’isola si resse da sé per qualche tempo, governa-ta dal famoso re Gialeto, ch’era già stato capo dei rivoluzionari. Ma venne tosto infestata dai Saraceni, che la sbranarono con ogni sorta di scorrerie, di espilazioni, di saccheggi e di rovine. Le coste dell’isola erano costantemente piene di pirati e di guerrieri saraceni, e i villaggi marittimi erano quelli che più certamente ne soffrivano. Gli abitanti di Dorgali, grosso villaggio nel circondario di Nuoro, vicino alla costa orientale, ma difeso da un’alta montagna calcarea, tenevano sempre un gruppo di uomini forti e valorosi sulla cresta del monte, in guardia contro tutti i movimenti dei saraceni accampati sulla sottostante costa. Era una specie di assedio.

I saraceni spiavano il momento di poter passare sui monti senza pericolo, ma i Dorgalesi stavano fermi alla guardia. Così scorreva il tempo inutilmente, allorché i saraceni fecero una falsa ritirata.

Ingannati da ciò e spinti dalla loro profonda fede religiosa, un giorno di festa solennissima i Dorgalesi della guardia abbandonarono i loro spalti naturali e scesero al villaggio per assistere alle sacre funzioni. Tosto i saraceni sbarcarono e salirono sul monte, ma mentre stavano per piombare sul villaggio si fermarono paurosi a guardare. Vedevano una immensa fila di persone vestite a vivaci colo-ri, con in mano strani bastoncini bianchi e croci e randelli e bandiere, sfilare per le vie di Dorgali, incamminandosi come alla montagna. Era una processione. Ma ai saraceni, per volere della Madonna, la processione, così veduta dall’alto e da lontano, parve un esercito di soldati armati che si pre-parasse ad inseguirli e disperderli. Perciò si diedero a precipitosa fuga e qualcuno restò appiccato per i capelli agli alberi della montagna. Uno di questi alberi mi pare anzi che si chiami ancora ed appunto del saraceno.

Questa è la leggenda gentile dei monti di Dorgali, immortalata da una delle punte principali, che in memoria di tal fatto si chiama della guardia ( de sa Bardia).

La nascita delle leoneddas (vecchia leggenda musicale)8

Poco distante dalla riva del mare un antico pastore pascolava le sue gregge.

Era in un tempo lontanissimo, in una primavera quasi preistorica; ma il paesaggio era quale ancora si ammira adesso, una fresca pianura verde, chiusa da montagne quasi nere sul cielo d’un azzurro chiaro, e lambita dal mare; la capanna del pastore era eguale alle odierne capanne dei pastori sardi; e lo stesso era il pastore, vecchio ma ancora possente, coi lunghi capelli e la lunga barba gial-la, gli occhi neri circondati di rughe, e vestito di rozzi pannilani e di pelli.

Il vecchio si chiamava Sadur, (ed io non so l’etimologia di tal nome, ma ritengo che da questo provenga il moderno Sadurru, che poi vuol dire Saturnino) e viveva con la moglie ancor giovane e la figlia Greca.

Qua e là per la pianura sorgeva qualche altra capanna e viveva qualche altro pastore.